Film da Oscar

Un fine settimana con ottime uscite. Green Book, di Peter Farrelly. La Favorita di Yorgos Lanthimos. Il primo Re di Matteo Rovere

Capita, non sempre, ma capita, che il cinema presenti delle offerte a cui non si può rinunciare. O, meglio, non si dovrebbe. È il caso di questo fine settimana, dove i prodotti sono di qualità alta e sarebbe un peccato rinunciarvi. Del resto, si tratta di lavori candidati, quasi tutti, agli Oscar.

Il primo – candidato a ben 5 Oscar – è Green Book, di Peter Farrelly: storia dell’amicizia tra l’ex buttafuori italo-americano Tony Lip, rozzo e sincero (uno stupefacente Viggo Mortensen) e il raffinato pianista di colore Don Shirley (altro pezzo forte, Maherhsala Ali). Il primo deve fare da autista al pianista durante una tournée negli States del Sud, notoriamente razzisti e su questo aspetto si gioca parte del film, anche perché Tony è pieno di pregiudizi nei confronti degli afroamericani e degli artisti schizzinosi. Il contrasto inevitabile tra i due sfocia nella nascita di una amicizia: pur di mondi diversi, entrambi vengono di fatto trattati come persone di categoria B, e questo dolore forma il legante tra i due personaggi. Se Tony smette di essere brutale, Don gli detterà lettere bellissime per sua moglie, cosa che rende più dolce il legame della coppia, non abituata certo alle raffinatezze dell’amore. E Don si libererà dal superego distante, la corazza con cui si difende dal sottile disprezzo di chi ufficialmente lo applaude. La lucidità del film sta anche nel mostrare la realtà sempre forte del razzismo negli States, oltre che nel descrivere alternando tensioni e umorismo – i dialoghi sono perfetti – la vicenda di una amicizia che nasce lungo il viaggio e si consolida via  via con naturalezza. Il film infatti è tutt’altro che artificioso: getta uno sguardo molto chiaro su una umanità che vive di apparenze ed ha dimenticato l’autenticità dei rapporti. È questa la scoperta dei due amici e l’idea-base del racconto, diretto con sorprendente misura da Farrelly.

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Candidato con ben 5 nomination agli Oscar è anche La Favorita di Yorgos Lanthimos. Qui l’amicizia tra donne è una spietata lotta per il potere nell’Inghilterra del primo ‘700 con la dispotica e malata regina Anna, vittima-padrona fra due dame interessate ai suoi capricci – anche morbosi -, solo per una questione di dominio, pure nell’azione politica. Un film in costume, dunque, splendidamente girato e fascinoso sotto questo aspetto. Ciò che lo rende di una attualità stringente è l’indagine sugli aspetti più intriganti, cinici, della lotta per il potere, qui vissuta al femminile, quindi con una capacità seduttiva dalle sfumature inusuali nei film “politici” che appartengono spesso all’universo maschile. Il quale qui è formato da uomini-molluschi, parrucconi e incipriati. Le tre donne si combattono con ogni mezzo, ma è la regina Anna, figura tragica nella sua sofferenza e nella sua follia, a dominare  la scena di un racconto dove o si è al centro dell’attenzione o si muore. Grandiosa l’interpretazione delle tre attrici: Olivia Colman come Anna disperata e timida, Emma Stone, arrivista gentile, Rachel Weisz, scaltra e cinica. Un ritratto interno al potere molto attuale, senza pietà nell’indagine dei meandri dell’animo umano, adatto ad un pubblico che non si accontenti di una riuscita ricostruzione storica, ma voglia anche pensare.

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Non è candidato agli Oscar ma è da non perdere Il primo Re di Matteo Rovere. Si tratta  di un coraggioso film italiano che non è un remake di Romolo e Remo del 1961, ma un tentativo – per noi riuscito – di  dare una svolta al nostro cinema, gareggiando (anche se non si dice) con i nuovi peplum di Hollywood, come Troy, Noah e amici.  Girato con luci naturali nelle diverse ore delle diverse stagioni – con poesia (vedere le nebbie o le aurore) -, recitato con impegno radicale da parte dei due protagonisti (Alessandro Borghi, Remo e Alessio Lapice, Romolo) e dei comprimari (attori di origine teatrale, e si vede), il kolossal epico vive di notte, di lotte  sanguinose, di una religione del fuoco misteriosa nelle foreste e nelle pianure intorno al Tevere. Il senso della fraternità che domina il racconto è forte, sembrerebbe invincibile. Solo la superbia di Remo , la sua ribellione agli dei (i “divi”nel latino arcaico che si recita), la sua ostinazione verso il potere recidono tragicamente l’amore tra i due fratelli. La leggenda mitica della “lupa” è ignorata per riprodurre realisticamente, con l’aiuto di esperti, il clima sociale delle tribù dell’antico Lazio, i timori divini, la lotta per la sopravvivenza. Il film è violento sia nei combattimenti (ricorda certo Il trono di spade, ma “con sentimento”), sia nei rapporti umani e con la divinità a cui Remo si ribella, ma alla quale alla fine soggiace. L’interrogativo religioso del resto scorre per tutto il film – la figura della Sibilla – insieme al sentimento di fratellanza, che svela un Remo dalle corde anche tenere. I “ricordi” di altri film sono ben presenti al regista, forse The Passion e Apocalypto di Gibson e certo Apocalypse Now, ma sono solo atmosfere, perché Rovere sa essere originale nel presentare un mondo arcaico in mezzo ad una natura selvaggia (l’inondazione spaventosa che apre il film) dove vive un umanità primitiva anche nella durezza del linguaggio. Eppure il kolossal non ha – bisogna pur dirlo – la superficialità dei “fratelli” americani computerizzati, ma una sincerità di fondo, una verità di sentimenti che il film, pur con momenti di” passaggio” tra la prima e l’ultima parte, lo rendono un’opera credibile, originale, forse aperta a nuove vie per il nostro stanco cinema.

 

 

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