I figli della speranza
Il poeta greco Esiodo ha narrato un celebre mito. Quello del vaso di Pandora. Alcuni dei, Zeus in testa, si erano coalizzati per punire gli umani, fino a quel momento esenti da affanni, acciacchi, malattie e morte. Regalarono così a una certa Pandora un vaso, con l’ingiunzione di non aprirlo. Fu un gioco da ragazzi. La bellissima, ma ahimè curiosa, Pandora non resistette e aprì il vaso. Tutti i mali fino allora sconosciuti si riversarono nel mondo. Quando si rese conto di cosa aveva combinato, rinchiuse il vaso. Era troppo tardi.
Il solo “male” che vi rimase intrappolato fu la speranza. Ma che ci faceva lì? Un motivo c’è. I greci consideravano la speranza un bene ambiguo perché porta ad attendere sempre qualcosa di meglio. Che difficilmente arriva. Rischia quindi di creare illusioni. Per questo Pablo Neruda si chiedeva: «Soffre più chi spera sempre o chi non sperò mai in nulla?». I greci credevano che l’umanità potesse raggiungere la felicità attraverso la razionalità, la giustizia, l’armonia, la bellezza, la saggezza. Ma pensavano anche che essa fosse sempre minacciata dall’insondabile Fato e dal capriccio degli dei.
La tradizione giudaico-cristiana entra in pista con un altro scenario. Per essa, anche se oggi c’è la sofferenza, anche se oggi si muore, nel domani ci sarà la salvezza, la vita senza fine, i corpi risorgeranno e il male sarà sconfitto. Il futuro illumina così il presente. La vita non è un ciclo che si ripete, ma una progressione continua.
San Paolo nel celebre inno presenta la carità come la più importante delle virtù. In effetti la carità cristiana ha avuto e continua ad avere un’importanza enorme nella storia. Ma la speranza ha segnato in modo decisivo la cultura mondiale. Ha immesso in essa un parametro nuovo: il domani è meglio dell’oggi.
Ai nostri giorni molti giovani faticano ad avere speranza. Vedono il futuro come un rebus oscuro, che offre scarse possibilità ed è minacciato dal cinismo di tanta politica ed economia, finalizzate al solo profitto e allo sfruttamento della Terra. Questo ha delle conseguenze. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ogni anno nel mondo muoiano un milione e mezzo di persone per suicidio. Molte, molte di più che per i conflitti armati di tutto il pianeta. In Italia si contano circa 4000 suicidi l’anno, di questi 400 sono studenti. E i tentativi di suicidio sono 20 volte tanto.
La speranza, forse il più grande contributo culturale che la tradizione giudaico-cristiana ha dato all’umanità, deve essere urgentemente riscoperta e ripresentata al grande pubblico. Perché non è un sentimento vago, illusorio. È azione. Diceva sant’Agostino: «La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle».
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