Fieri di essere egiziani

Prove di democrazia a quasi un mese dalla partenza di Mubarak. L’esercito regola la fase transitoria ma è la società civile ad essersi ripresa in mano il governo della città del Cairo
Manifestazioni in Egitto

Ieri le bandiere egiziane sventolavano per le strade del Cairo: la gente era in festa per la ritrovata libertà, a fianco dell’esercito, unico garante di questa fase di transizione che dovrebbe al più presto portare a un nuovo governo e a un nuovo Parlamento. Non sono rare queste uscite pubbliche. L’Egitto ha fame di democrazia e partecipazione pur vivendo ancora nell’incertezza e nella crisi economica aggravata dal prolungarsi della riorganizzazione politica. A sorpresa sta emergendo prepotentemente il ruolo della società civile. «Tutti abbiamo cominciato ad interessarci di politica è il commento di alcuni egiziani, che abbiamo raggiunto –. Prima quest’argomento era quasi un tabù e per alcuni non aveva alcuna importanza. Ora invece si parla molto, siamo curiosi di conoscere la nostra costituzione. C’è una vera e propria corsa ad ottenere il certificato elettorale, mentre prima chi mai si era interessato del voto?». Il senso di appartenenza al Paese si va consolidando di giorno in giorno: «Siamo fieri di dirci egiziani. L’Egitto è tornato al suo vero essere, come era un tempo», sono le espressioni più ricorrenti. Certo che però questa nuova libertà è tutta da imparare per evitare o comunque limitare gli abusi, e per evitare derive autoritarie di vario genere. Questo fine settimana le scuole hanno riaperto e anche altre attività hanno ricominciato a lavorare, ma il contesto è ben diverso: infatti la possibilità di potersi esprimere liberamente ha dato vita a piccoli scioperi, manifestazioni, assemblee dove le persone vogliono rivendicare i diritti o capire bene ruoli e compiti. Insomma si fanno prove di democrazia partecipata.

 

Altro segnale importante riguarda l’identità civile che si va, via via, affermando. Le divisioni religiose tra cristiani e musulmani da sempre nodo critico del Paese sono meno nette – nonostante incidenti e anche assassinii che anche in quest’ultimo weekend hanno insanguinato il Sud –, grazie anche ai movimenti di solidarietà nei quartieri sorti per difendere le abitazioni, i negozi, le piccole attività dagli sciacallaggi, seguiti inevitabilmente al caos delle manifestazioni. «Tante barriere e tanti pregiudizi sono caduti. Eravamo di diverse convinzioni religiose, politiche e anche di differenti livelli sociali, ma siamo tutti egiziani e questo è quello che conta». Indubbiamente la paura dei saccheggi e delle violenze seguita alle evasioni dei detenuti e al ritiro della polizia hanno rafforzato il senso di comunità, le relazioni di vicinato, il dialogo anche su argomenti scottanti come quello religioso: «Prima evitavamo di scambiarci opinioni in merito, temendo di essere accusati di proselitismo, ora possiamo parlarci con maggiore libertà», è la dichiarazione di una giovane cristiana. Alcune famiglie vicine di casa, avendo molto più tempo per stare insieme a causa del coprifuoco che limita gli orari di uscita hanno scelto di riunirsi alle 20 di ogni sera per pregare per la pace. Certo resta vivo il timore che i più radicali, con in testa i Fratelli musulmani, possano prendere un potere eccessivo e non equilibrato, spianando così la strada ad un’applicazione della legge islamica. Per ora a tener banco è soprattutto la crisi economica. Il turismo è in crisi e in centinaia di migliaia hanno perso il posto di lavoro, idem per gli impiegati in aziende collegate. La manodopera giornaliera, utilizzata nei modi più svariati, non è più richiesta come una volta, mentre alcuni servizi garantiti dallo Stato centrale non sono più espletati, come ad esempio la raccolta di spazzatura.

 

Proprio per far fronte a quest’emergenza, dei giovani lavoratori aderenti al progetto della ong italiana Amu (Azione mondo unito) hanno cominciato a raccogliere la spazzatura intorno ad una scuola di Shubra, uno dei quartieri del Cairo, dove il saccheggio di case, banche e negozi è stato irrefrenabile. Questi ragazzi cristiani e musulmani hanno provato a difendere il quartiere con mezzi di fortuna, ma senza grande successo. Invece ripulire le strade dall’immondizia si è rivelata un’azione dall’effetto contagioso, perché negozianti, passanti, inquilini dei palazzi vicini all’istituto hanno fornito guanti, sacchetti per la spazzatura e persino una merenda per riprendere le forze. Altri si sono uniti a loro e alcuni hanno deciso di estendere l’azione ad altre zone della città.

 

Lo stesso hanno fatto i Giovani per un mondo unito (i giovani dei Focolari) nei pressi di un ricovero per portatori di handicap, gestito da un sacerdote ortodosso. «Armati di mascherine, guanti, sacchi della spazzatura siamo andati – raccontano -. Appena abbiamo cominciato a lavorare le persone ci sono venute in aiuto fornendoci scope, palette, parole di incoraggiamento, caramelle e perfino una carriola! E c’era chi lasciava il suo momentaneo lavoro per unirsi a noi, chi bagnava la strada in terra battuta perché non si sollevasse troppa polvere. Un signore di mezza età ha commentato: Guardate cosa avete combinato! Avete fatto muovere tutto il quartiere!».

 

Questa, in fondo, è l’aria che si respira nei quartieri della capitale, dove si assiste a un grande risveglio civico, dove la maggioranza della popolazione sente di doversi prendere cura della città senza deleghe in bianco: sono le prime prove tecniche di una democrazia che sta passando dal tam tam virtuale e dalla piazza all’impegno reale, fatto di sudore, di fatica e di nuove strade da inventare.

 

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