Fiducia. In banca come dal medico di famiglia
A volte sarebbe bello se fossimo tutti più razionali, come gli economisti ipotizzano. Ma non lo siamo. Il nostro cervello si è evoluto durante centinaia di migliaia di anni per farci sopravvivere nella savana tra leoni e serpenti e non per giocare in borsa, scegliere piani pensionistici o navigare su internet. Per poter prendere decisioni, ogni giorno, in ambienti complessi come quelli che caratterizzano la nostra vita di tutti i giorni, il nostro cervello usa delle euristiche; scorciatoie cognitive che ci consentono di semplificare i problemi con cui ci confrontiamo e, nella maggior pare dei casi, di ottenere delle soluzioni ottimali. Nella maggior parte dei casi, appunto. Se chiediamo agli italiani quali città, tra Milano, Venezia e Trieste, sperimentano d’inverno la temperatura media più bassa, la maggior parte ci risponderà Trieste, anche se i dati mostrano che invece la città più fredda è Milano. Ma la nostra euristica, la scorciatoia mentale, ci spinge a considerare come criterio utile per decidere la risposta corretta le informazioni che abbiamo, ed in particolare il fatto che a Trieste c’è la bora, e quindi fa molto freddo, e quindi, più freddo che a Milano. La logica del ragionamento non è a prova di bomba, ma noi siamo esseri psico-logici, mica logici.
Le euristiche, come si diceva, hanno un ruolo importante in tutte quelle situazioni decisionali così complesse che necessitano di semplificazioni per poter essere agevolmente affrontate. Le decisioni finanziarie sono una di queste classiche situazioni. Saperlo, ci può aiutare a valutare meglio, in maniera più informata e meno emotiva il caso del salvataggio delle quattro banche, CariFerrara, Banca Marche, Popolare dell’ Etruria e CariChieti e che ha creato grandi polemiche e strumentalizzazioni politiche. Il fatto innanzitutto. Il Governo decide di salvare le quattro banche per salvaguardare i risparmi dei correntisti, le attività delle imprese debitrici, i posti di lavoro dei dipendenti, ed evitare una crisi di panico che avrebbe potuto coinvolgere parte del sistema bancario italiano.
Per far questo, diversamente da quanto accaduto nel passato, nel caso del Monte dei Paschi di Siena per esempio, invece di utilizzare i soldi pubblici, di tutti gli italiani, cioè, il governo decide di utilizzare prima di tutto i soldi di chi in quelle banche ha investito e dalle quali ha ottenuto benefici: azionisti e obbligazionisti. Qui il terreno si fa più scivoloso. Molti di questi soggetti infatti, ritengono di essere stati truffati, perché al momento della sottoscrizione delle obbligazioni non sarebbero stati informati del reale livello di rischiosità associato ai titoli proposti. Molti proprio non avevano idea di cosa stavano comprando e molti, semplicemente, si sono fidati ciecamente di quello che dicevano e consigliavano loro gli impiegati, più o meno in buona fede, delle varie banche.
E’ giusto pretendere di essere risarciti delle proprie perdite semplicemente perché hai cercato di ottenere il massimo guadagno acquistando una obbligazione subordinata che è più rischiosa di una obbligazione ordinaria? O perché ti sei fatto attrare dai possibili guadagni e non ti sei informato abbastanza sui rischi connessi ai prodotti che stavi comprando? O magari perché ti sei fidato ciecamente di chi ti proponeva l’ "affare". Queste sono le questioni di cui si dibatte questi giorni.
Certo è importante distinguere i comportamenti dettati da ignoranza delle regole o superficialità da quelli che invece derivano da deliberate manipolazioni da parte dei venditori. Eppure questa fondamentale distinzione potrebbe essere meno chiara di quanto appaia a prima vista.
In una ricerca pubblicata l’anno scorso, sul Journal of Business Research,con alcuni colleghi delle università di Berlino, Ludwigsburg e Otago, Nuova Zelanda, abbiamo analizzato proprio la questione che oggi è al centro delle cronache[1]. Quali sono le caratteristiche della relazione che intercorre tra risparmiatore e il suo consulente finanziario? I risultati che emergono da questa ricerca, chiaramente mostrano che gli investitori non esperti, cioè la stragrande maggioranza degli investitori, si fidano troppo dei loro consulenti bancari.
Questo implica che le decisioni di investimento, di formazione del portafoglio, come si dice in gergo, dipendono più dal livello di fiducia che i risparmiatori hanno nei confronti dei loro consulenti che non dalle caratteristiche stesse dei prodotti finanziari su ciò si investe. Questi risparmiatori, invece di comportarsi in modo razionale, come gli economisti immaginerebbero, utilizzano quella che abbiamo chiamato l’ "euristica del consiglio". Si tratta dello stesso atteggiamento che i pazienti utilizzano nei confronti del loro medico curante: il medico prescrive, il paziente si fida ed esegue. Ma se le cose stanno così e i consulenti finanziari possono esercitare un così grande potere nei confronti dei loro clienti, non si capisce perché, diversamente dai medici, non siano soggetti ad un codice deontologico. Perché chi esercita un tale potere non è obbligato ad impegnarsi ad esercitarlo nel primario interesse dei suoi clienti? Finché le banche saranno considerate imprese come tutte le altre, invece che come luoghi di costruzione (o distruzione) di fiducia, non si avranno le giuste categorie per comprendere ed interpretare fenomeni di cronaca economica come quelli su cui politici, economisti e parte dell’opinione pubblica si sta accapigliando in queste settimane.
Tratto dal blog dal docente di Economia all’Università di Cagliari e collaboratore di Città Nuova
[1] Monti, M., Pelligra, V., Martignon, L., Berg, N., (2014) “Retail Investors and Financial Advisors: New Evidence on Trust and Advice Taking Heuristics”, Journal of Business Research n. 67(8), pp.