Fidarsi delle macchine?

Il rapporto fra l’Intelligenza Artificiale e la fiducia riposta in essa dagli umani sta diventando un oggetto di ricerca sempre più importante e spinge ad una generale coscientizzazione sulle questioni etiche sollevate da queste tecnologie. (prima di due puntate)
(AP Photo/Frank Augstein)

Le macchine ci aiutano

Sbagliare è umano: il nostro agire è caratterizzato dall’imperfezione e da un certo grado di imprevedibilità. La nostra limitatezza e le nostre incertezze cercano, all’opposto, dei punti fermi, cioè elementi e cose che possano trasmettere in prima istanza stabilità e sicurezza, e conseguentemente potenza, efficienza e controllo.

All’imperfezione del nostro agire si contrappone cioè l’idea di perfezione che andiamo ricercando fuori di noi e che proiettiamo in modo speciale nelle macchine, negli automatismi, nelle tecnologie che noi stessi creiamo. L’affacciarsi delle tecnologie digitali ha ulteriormente enfatizzato questo andamento, accelerando lo sviluppo di sistemi efficienti e via via più potenti e onnicomprensivi.

L’abilità delle macchine nel supportare le nostre attività quotidiane aumenta sempre di più ed è alimentata dalle nostre stesse richieste perché è sempre maggiore il tempo che trascorriamo in contesti digitali, date le abitudini indotte dal grande sistema tecnico nel quale siamo immersi e al quale ci affidiamo per la soddisfazione di molti nostri bisogni.

Le macchine ci sostituiscono

Alle macchine non chiediamo solo di supportarci, ma anche di sostituirci in certi compiti o svolgere mansioni che noi non siamo in grado di attuare, trovando soluzioni a problemi complessi. In sintesi: fare cose al di fuori della nostra portata, in modo da corrispondere alla spinta interiore legata al desiderio di potenza e illimitatezza che caratterizza la nostra esistenza.

Questo andamento è particolarmente evidente nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA): una tecnologia di primo piano in tutte quelle applicazioni in cui, accanto all’elaborazione processuale, è richiesta una componente “intuitiva”, caratterizzante del modo di ragionare, di prevedere e immaginare tipicamente umano.

L’Intelligenza Artificiale entra in molti aspetti del nostro quotidiano, più spesso di quanto possiamo immaginare. La utilizziamo senza saperlo in ogni ricerca online, la troviamo dietro agli algoritmi che regolano le bacheche dei nostri social network o nella selezione dei suggerimenti per gli acquisti su Amazon, ci difende silenziosamente dalle email indesiderate, tutela la sicurezza dei nostri viaggi in auto, e molto altro ancora.

Le macchine creano

Ultimamente è entrata di prepotenza anche in ambito artistico-creativo, uscendo dalle nicchie dei laboratori e dalle possibilità di pochi per aprirsi ad un utilizzo massivo: Midjourney [1] e DALL-E2 [1b], varati nel 2022, sono solo due esempi di sistemi basati su IA in grado di generare autonomamente qualunque tipo di immagine a partire da una descrizione testuale, rispondendo ad ogni richiesta degli utenti in modo incredibilmente efficace ed assumendo di fatto il ruolo di un creativo umano.

Le macchine ci custodiscono

Sul fronte dell’integrazione con la robotica, l’IA viene impiegata anche per cercare di costruire agenti autonomi in grado di “assomigliarci”, per alleggerire i nostri carichi di lavoro e di “energia mentale”.

Il desiderio di accelerare l’avvento massivo di robot umanoidi è anche nelle intenzioni di Elon Musk, che entro pochi anni mira a produrre in serie e poi commercializzare massivamente il suo Optimus, il cui primo prototipo è stato mostrato solo pochi giorni fa [2]. L’obiettivo, tanto ambizioso quanto complesso, del genio visionario di Musk sarebbe quello di ripetere con i robot quanto avvenuto con i Personal Computer a partire dagli anni ’80 del secolo scorso: entrare in ogni casa prima come accessorio e poi come elemento essenziale. Staremo a vedere.

Rimane il fatto che, fra le varie novità dell’era digitale e della cibernetica, l’interazione con agenti più o meno autonomi (in grado di sostenere efficacemente conversazioni, o aiutarci in compiti quotidiani) è quella che va a modificare più profondamente le nostre abitudini.

L’IA sembra infatti incamminata sulla strada che la porterà a diventare la custode silenziosa delle nostre vite, tanto da sembrare assumere – in alcuni casi già da ora – anche il ruolo di “soggetto” di relazioni: un quasi-umano in grado di cambiare entro qualche anno le nostre abitudini in direzione di un sempre maggiore affidamento agli automatismi (cioè verso qualcosa che funziona anche senza il nostro diretto controllo). Ed è proprio sul tema dell’affidamento che occorre focalizzare la nostra attenzione.

Le macchine sono affidabili

L’atto di affidarsi a qualcosa o qualcuno è un atto naturale e può essere visto come un processo che aiuta il nostro cervello a ridurre la complessità. Quando siamo di fronte ad un problema e ci fidiamo delle risposte di qualcuno limitiamo intrinsecamente il numero dei possibili scenari alternativi, rendendo più semplice per noi trovare una soluzione adatta alle nostre esigenze. Si tratta di un meccanismo innato radicatosi in noi con l’evoluzione e determinato soprattutto attraverso i rapporti sociali.

Allo stesso modo, quando siamo di fronte ad un automatismo ci fidiamo del suo buon funzionamento. C’è ovviamente differenza fra le aspettative di funzionamento di un distributore di bevande e quelle riposte in un pilota automatico di un aereo in volo ad alta quota, ma il meccanismo di base è il medesimo: semplificare la complessità e cercare una soluzione ad un problema in tempi ragionevolmente brevi.

La dinamica innescata dall’interazione con una IA segue lo stesso criterio: il suo avvento può essere visto come una risposta alla complessità del mondo attuale. Ma c’è una differenza: l’automatismo delle IA ha in sé un grado di incertezza che lo fa assomigliare all’intelligenza naturale. I parametri attraverso cui le reti neurali artificiali apprendono e modificano i loro stati, infatti, sono noti, ma il loro evolvere include dinamiche che introducono un certo grado di imprevedibilità.

Integrarsi con le macchine

Sul piano esistenziale questa sorta di somiglianza fa emergere una componente complessa e impredicibile [3] che tende a cambiare l’interazione uomo-macchina da una aspettativa di buon funzionamento (cioè di affidabilità), ad una relazione di fiducia.

Il grado di “intensità” di questa relazione può essere influenzato da vari fattori, legati sia alla bontà dei risultati ottenuti sia a parametri strettamente soggettivi. Il nostro senso di affidamento alle tecnologie risulta infatti pesantemente influenzato da ricordi, esperienze, aspettative, sfumature del nostro carattere.

Questi parametri variano anche da una generazione all’altra e si traducono in una più o meno spiccata predisposizione all’interazione con le nuove tecnologie, ma in generale ciò che si osserva è una graduale diminuzione della “distanza” fra noi e questi apparati, segnando un passaggio graduale dall’interazione all’integrazione.

Nel nostro mondo, questo andamento è favorito in maniera marcata anche dai mutamenti del nostro ambiente vitale e dalla necessità che abbiamo di affidarci alla tecnologia per poterlo migliorare. A questo riguardo, studiando gli effetti dell’isolamento vissuto in seguito alla pandemia da COVID-19, una ricerca del 2021 [4] ha evidenziato come in molti soggetti le condizioni di necessità abbiano portato a riconsiderare l’interazione con sistemi autonomi in maniera diversa, più collaborativa e maggiormente orientata alla benevolenza, rivelando anche forme di altruismo normalmente riservate solo ad altri esseri umani.

Una domanda

Sembra cioè che le condizioni di necessità del nostro tempo (ambientali, politiche, economiche, sociali ecc.) ci spingano in qualche modo a dover riporre più fiducia nelle tecnologie e in particolare nelle IA. Da qui la crescente preoccupazione di fare mantenere ai suoi sviluppatori (ma anche ai suoi utilizzatori) un approccio umano-centrico e solide basi etiche. Formare queste basi significa principalmente coscientizzarsi e imparare a riconoscere e valorizzare ciò che è propriamente umano.

Un buon punto di partenza, riprendendo il tema dell’affidamento a questi automatismi, potrebbe essere quello di riflettere su una semplice domanda: è davvero possibile mettere sullo stesso piano la fiducia riposta in una IA con quella riposta in un essere umano? (continua)

[1] Midjourney

[1b] DALL-E2

[2] Tesla boss Elon Musk presents humanoid robot Optimus

[3] B. Stanton, T. Jensen – Trust and Artificial Intelligence (december 2020)

[4] C. De Melo, J. Gratch, F. Krueger – Heuristic thinking and altruism toward machines in people impacted by COVID-19, iScience, vol 24, issue 3, 2021

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