Fiat e la sovranità dello Stato da recuperare
Alcoa, Ilva, Fiat. Oltre 160 dossier di aziende in crisi con problemi occupazionali crescenti, ma anche casi come la Ibm che, pur con i numeri del bilancio in ordine, taglia lo stesso i posti di lavoro usando il trasferimento obbligatorio di sede a Milano.
Dove stiamo andando? E che fare per invertire la rotta? Domande che raggiungono Stefano Biondi, sindacalista di lungo corso, segretario regionale in Toscana dei bancari della Cisl, che non ha avuto timore di esporsi su casi spinosi e difficili come la recente vicenda societaria che sta interessando il Montepaschi di Siena.
Interlocutore abituale di Città Nuova per il mondo del lavoro, Biondi è tra gli animatori del gruppo di lavoro internazionale “Terra Futura”, che propone esperienze per un futuro sostenibile e giusto. Esprime, perciò, un’idea di fare sindacato che non si limita alla “riduzione del danno” di fronte ad una globalizzazione economica senza regole.
L’attesa della decisione, seppur prevedibile, dei vertici Fiat, che si incontreranno col governo sabato 22 settembre, completa un quadro difficile che sembra senza uscita. Che cosa si può fare?
«Ho davanti agli occhi l’immagine dei due rappresentati metalmeccanici della Cisl e della Cgil saliti assieme su una torre di 60 metri nello stabilimento dell’Alcoa in Sardegna. Un gesto disperato davanti alla determinazione della multinazionale americana di chiudere la fabbrica; eppure è il segno di chi, pur sconfitto, non si arrende. Sperimentano nella solitudine forzata un’unità finora messa alla prova da differenti strategie e valutazioni. Così la decisione della Fiat di rivedere il piano di Fabbrica Italia pone in evidenza la sconfitta non solo del singolo cittadino o lavoratore, ma della stessa sovranità degli Stati davanti alle società transnazionali che non rispondono più a nessuno. Non ci sono regole per fermarle e, tuttavia, in tutto il mondo esistono gli aiuti statali verso le attività considerate strategiche. Solo in Italia diventa uno scandalo. Il mercato libero esiste solo nella teoria. Le aziende vanno dove gli conviene con defiscalizzazioni, incentivi, etc. Obama per fare l’operazione Chrysler ha dovuto investire una marea di soldi pubblici. Occorre ripartire perciò da zero, da un’economia reale che nasce dai territori, dalle esigenze reali».
Ma come fare se il territorio è come desertificato dopo l’abbandono della grande impresa?
«Nel caso Fiat c’è un errore di fondo. La società, è vero, non investe in ricerca e sviluppo, attende la ripresa per proporre nuovi modelli e così perde quote di mercato. Ma, prima di tutto occorre tener presente che l’auto fa parte di un risiko mondiale che mette uno contro l’altro per conquistare il pianeta senza fare i conti con la questione ambientale ed energetica. Prima o poi il meccanismo si rompe e bisogna lavorare perciò ad un’alternativa di produzione. I treni ad esempio. Altrimenti lasceremo solo il deserto economico e sociale con costi di bonifica insostenibili. Si deve essere perciò decisi nel far rispettare per quanto possibile il progetto di Fabbrica Italia, ma bisogna pensare ad una diversificazione dei prodotti. I numeri del crollo delle vendite di auto cui fa riferimento Marchionne sono reali, ma è la logica che sostiene la strategia manageriale che non funziona perché prevede investimenti che rendono profitti in tempi brevi per gli azionisti e non prevede un bene comune da raggiungere. Non concepisce patti da rispettare. Occorre una visione globale condivisa altrimenti è tutto il sistema che si ferma. Senza reddito in tasca ai cittadini, nessuno compra più niente. Questo gli imprenditori legati nell’economia reale lo comprendono molto bene e per primi».
Ma una critica del genere non apre la porta all’intervento pubblico in economia?
«Può sembrare un’eresia, ma lo vedo necessario in questo contesto per non far andare tutto a rotoli. Certo ci vuole una grande capacità di vigilanza e di controllo democratico contro le occupazioni partitiche e lobbistiche, a cominciare dalla legge sulla corruzione e il ripristino del falso in bilancio come reato: è quello che fece Roosevelt negli anni '30 negli Usa»
A livello europeo questa prospettiva, comunque, non sembra possibile…
«E difatti bisogna ripensare al ruolo dell’Europa. Se non si da un governo dei processi economici non esiste sovranità ed è quindi destinata a dissolversi».