Fiammelle luminose nel buio
Era il 10 agosto dello scorso anno quando svegliandomi improvvisamente mi resi conto di non vederci. Da 13 anni ero in terapia per curare il glaucoma. Con colliri e occhiali ci vedevo abbastanza bene, addirittura ad aprile mi avevano rinnovato la patente. Purtroppo però da un anno e mezzo l’oculista che mi seguiva nelle mie visite all’ospedale era andato in pensione e i sostituti che avevano preso il suo posto mi avevano fatto cambiare più volte colliri. Mi ero resa conto che qualcosa non andava e la vista aveva iniziato a calare.
Quel mattino di agosto però, aprire gli occhi fu uno shock. Mi rivolsi immediatamente a un esperto oculista in privato che si prese a cuore il mio caso e mi spiegò che poteva succedere «anche se raramente, che un collirio smettesse di fare effetto, causando quindi la perdita del campo visivo». A quel punto, su suo consiglio, presi subito appuntamento a Verona, dove esiste il miglior centro d’Italia per la cura e gli interventi di glaucoma. Le mie condizioni all’arrivo erano disperate, vedevo solo ombre e non ero più autosufficiente in nulla. Non riuscivo più a vedere neanche i volti dei miei nipotini, che crescevano e chiedevano attenzioni che io non potevo più dar loro. A Verona, un team fenomenale eseguì un difficilissimo intervento combinato di glaucoma e cataratta. Una squadra di dottori e dottoresse, sì, ma soprattutto di uomini e donne che giornalmente svolgono il loro lavoro con amore e con passione.
I mesi dopo l’intervento furono lunghi, passavano le settimane ma io continuavo a non vederci abbastanza per essere indipendente. Il recupero era stato molto limitato, non sufficiente per avere una vita “normale”. Avevo ormai perso la speranza e mi stavo arrendendo con molto sconforto all’idea di dover vivere così, quando ecco… È una domenica di giugno, sono trascorsi 6 mesi dall’intervento. La nostra famiglia è riunita per il battesimo del mio nipotino più piccolo, Matteo, che ha atteso tutti questi mesi per essere battezzato affinché sua nonna potesse partecipare. Siamo lì, assieme dopo la cerimonia nella scalinata dell’altare, pronti a scattare una foto, quando ecco…, mi rivolgo a mia famiglia e le dico: «Serena, ma guarda Matteo… ha i capelli così ricci e biondi! E guarda i suoi occhi, sono azzurri…, dello stesso azzurro degli occhi della nonna Imelda». Improvvisamente mi rendo conto di poter fare i gradini da sola, di poter uscire dalla chiesa in autonomia, di distinguere i volti delle persone e riconoscerle.
Mi sembra un sogno. Il mio pensiero va subito a quel team di dottori che con pazienza e dolcezza mi ha curata giorno dopo giorno. Ripenso al chirurgo che ha stretto le mie mani dentro le sue e mi ha chiesto di pregare per lui, e poi penso a tutte quelle persone che hanno rivolto il loro pensiero a me e le cui preghiere sono salite verso il Cielo come tante fiammelle luminose che, nonostante il buio che aveva avvolto la mia vita durante i mesi di quasi totale cecità, hanno continuato a brillare e rischiarare il mio cuore. Perché queste sono luci per le quali non serve la vista, è sufficiente aprire il proprio cuore per sentirsi avvolti dalla loro potenza. La forza della fede.
Ringrazio la mia famiglia, mio marito che nonostante le difficoltà non mi ha lasciata sola neanche un momento e mi ha accompagnata anche quando avrebbe avuto bisogno lui di essere accompagnato. Ringrazio le mie figlie perché non hanno mai perso la speranza che il recupero potesse arrivare…, e che il miracolo ancora una volta potesse accadere.