Festival di Roma, un bilancio in chiaroscuro

Nonostante un aumento degli sponsor e dei visitatori, il destino di questa kermesse non è ancora chiaro. E se si sono visti film di qualità (soprattutto quelli stranieri) e la sezione per ragazzi è stata la più affollata, restano numerosi interrogativi sulle scelte (necessarie) da compiere per il futuro
Shier Gongmin al Festival del cinema di Roma

Dopo il lancio veltroniano, il Festival del cinema di Roma – concluso sabato 26 – è oggi chiaramente diventato festa. E, se è tale, sembra inevitabile finisca per assorbire anche il Fiction fest, eliminando concorrenza e spese, cosa che non guasta di questi tempi. A riflettori spenti, un bilancio onesto si impone. Si notano l’aumento del 40 per cento degli sponsor, gli 80 mila ingressi, la presenza di circa 150 mila persone. Sezione affollatissima è stata sempre Alice in città, cioè quella per ragazzi e adolescenti, il cui film Trash – di Stephen Daldry, il regista di Billy Elliot – vince il premio del  pubblico raccontando la storia dei tre ragazzini della favela brasiliana in lotta per la vita (gran bel film, uscirà  il 27 novembre). Il premio dimostra come il gusto del pubblico “televisizzato” privilegi le storie belle e sane, come pure Smetto quando voglio dell’italo-britannico Roan Johnson sul passaggio dall’adolescenza alla giovinezza.

Bisogna dire che il tono dei film in genere tendeva a superare certa modestia delle edizioni passate e abbiamo visto dei bei lavori, più stranieri che italiani. Su quest’ultimi, ormai per lo più deludenti perché riciclano le medesime tematiche (da Tre tocchi ad Andiamo a quel paese, da Mio papà a Buoni a nulla a I milionari e La foresta di ghiaccio) vale il discorso che se le anime non sono di ampio respiro, non lo sono neanche i film…

La Germania ha presentato ottimi prodotti, di cui già abbiamo parlato, come il drammatico Phoenix sui reduci dai campi di concentramento Die Lugen dei Sieger su un giornalista d’assalto, e Wind sind jung. Wir sind stark sulla violenza a Rostock nel 1992,  e Still Alice con Julianne Moore e Gone Girl con Ben Affleck han fatto comprendere come il cinema americano, oltre i blockbuster, sappia dire ancora parole interessanti, insieme all’omaggio commovente nel glaciale La spia all’ultimo Philip Seymour Hoffmann, e al notturno NightcrawleLo sciacallo – con un grande Jake Gyllenhaal.

Detto questo, viene la domanda. Quale  è il futuro del Festaval, come ormai si chiama con un orrido neologismo? Scontato che  questa rassegna, in mezzo a Venezia, Torino e Montreal, deve trovare la sua personalità, forse la riposta sta nel puntare ad un vestito del tutto nuovo che coinvolga davvero il pubblico appunto in una festa, soprattutto dei ragazzi e dei giovani, vero asse vincente della rassegna. Qualcosa si è mosso, molto si può ancora muovere, con un nuovo direttore e meno sprechi. Speriamo in bene.

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