Festival di Cannes. Povera Italia!

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Aveva una faccia da funerale ieri sera il buonissimo Vincenzo Mollica annunciando al TG 1 la disfatta del cinema italiano. Ben tre grossi titoli in gara del trio Moretti, Garrone e Sorrentino amati dal pubblico e dalla critica- quasi tutti, con Garrone c’erano dei distinguo – e privi di alcuna gratificazione (tranne Moretti, vincitore del Premio della giuria ecumenica). A dire il vero, i tre film erano tutt’altro che prodotti da scartare. Ma la giuria, presieduta dai fratelli Coen, a quanto pare non l’ha pensata in questo modo. Così la superpresente  Francia ha in pratica premiato sé stessa: Palma d’oro a Jacques Audiard per Dheepan – tragico viaggio di migranti in fuga dal conflitto civile in Sri Lanka -, miglior attore Vincent Lindon per  La loi du Marché – lavoro sulla perdita della dignità umana -, miglior attrice a Rooney Mara per il film “lesbico” Carol; Grand Prix all’ungherese esordiente Làzlo Nermes per Il figlio di Saul- racconto di ebrei nei campi di concentramento, scioccante -, miglior  regista il taiwanese Hou Hsiao-Hsien per The Assassin-  una Cina leggendaria e crudele -, e Premio della giuria al greco Yorgos Lanthimos per The Lonster, parabola apocalittica.

In definitiva, Cannes ha premiato la Francia e dato un’occhiata all’Oriente- europeo ed asiatico, ignorando- volutamente? – l’Italia. Quali i motivi? Certo, le lobbies, inutile negarlo, avranno fatto la loro parte. Un’altra, forse più sottile, si chiama la gelosia che sempre prende i nostri cugini d’Oltralpe nei nostri  confronti: i tre film sono opere tecnicamente perfette, alcune di spessore notevole. Forse questo ha fatto paura? Oppure la visionarietà “italiana” è apparsa fuori tono e fuori tempo? Chissà. Adesso, però, non facciamo le vittime. In fondo, ci sono problemi ben più gravi. Il cinema italiano non è morto, può tranquillamente andare avanti con i suoi autori, piccoli e grandi. Forse, puntando ad avere più anima… Non si può sempre essere vincitori.

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