Festival del cinema di Roma, la kermesse continua
Nonostante tutto. Nonostante un clima misto di coraggio e mestizia, nonostante non ci siano selve di giornalisti e di folle, il forfait del super-reclamizzato Francesco Totti e di Ozon, la Festa va avanti e i film si snocciolano uno dopo l’altro nelle diverse sezioni e sale, ben preservate (speriamo) dal virus.
Uno sguardo ad alcuni film presentati è indicativo della qualità e della varietà delle produzioni offerte. Été 85 di Ozon non è un capolavoro, anche se è filmato con la consueta raffinatezza, la fotografia brillante. La storia del sedicenne Alexis in vacanza in Normandia che incontra il diciottenne scostante David, è quella di un’amicizia che sfocia in un rapporto gay . Nessuna morbosità visiva, perché Ozon è un signore del cinema e a lui interessa indagare su amore e morte, sogno e realtà. Ossia sul ragazzo che idealizza l’amico – fenomeno tipico dell’adolescenza – non ne accetta il tradimento e la morte, si abbandona a gesti estremi in un’aria quasi surreale. Ma Ozon sa fermarsi un attimo prima che tutto ciò diventi esagerato o narcisistico, il che in film del genere è un rischio. Tuttavia il racconto patinato è ben fatto ma lo scavo resta in superficie – l’argomento è ormai troppo sfruttato, vedi il film di Guadagnino -, nonostante la bravura degli attori (Félix Lefebvre, Benjamin Voisin, Philippine Velge, la ragazza “terzo incomodo”) e di Valeria Bruni Tedeschi nei panni della madre di Alexis.
Per nulla raffinata è invece la commedia americana Palm Springs che ricicla la storia del salto atemporale nella vicenda dello spensierato Nyles e dell’incostante Sarah, invitati ad un matrimonio molto “americano”(deserto, rocce, gente di ogni età, stravaganze). Precipitano in un “buco” atemporale e non sanno come uscirne fuori. Di qui gags che dovrebbero divertire a pieno getto, delusioni, frustrazioni, sesso, e bevute. Detto un film-rivelazione al Sundance festival, in verità rivela poco che non si sia già visto. Certo, il ritmo c’è, ma forse è troppo poco per essere originale. A meno che non dobbiamo sempre accontentarci di commedie americane poco fini passate per divertimento assicurato.
Certo, siamo su di un altro piano nella commedia francese, che supera la nostra in leggerezza e inventiva. Le Discours di Laurent Tirard – 80 minuti perfetti – parla di Adrian, 35 anni, nevrotico, ipocondriaco, lasciato dalla ragazza, che assiste impotente alla solita cena familiare che detesta: solito menù, soliti discorsi e lui che non ce la fa a sbottare. Il film argutamente lascia filtrare tutte le sensazioni più diverse nel giovane con un alter ego mentre la cena procede. Per di più gli viene chiesto dal cognato di tenere il discorso al prossimo matrimonio con sua sorella, cosa che lo fa impazzire, pensando ad ogni soluzione per liberarsi dall’impegno. Al di là delle battute divertenti e al calor rouge, il film racconta il desiderio di un amore fedele, di rapporti autentici anche in famiglia e di essere liberi esser sé stessi. Detto con eleganza, equilibrio, e facendo sorridere. Una lezione per i nostri autori di commedie.
Torniamo in Italia. Fortuna, opera prima di Nicolangelo Gelormini, trae spunto da un episodio di pedofilia omicida successo nel 2016: l’aggressore è tuttora all’ergastolo. Ma questo lo spiegano le didascalie alla fine del film perché il racconto della piccola Nancy, sei anni, chiamata Fortuna, non è chiaro e lo stile è contorto in un dramma di per sé già tremendo. La regia procede per scatti, allusioni, a delineare un clima freddo e superstizioso in cui la piccola è sbilanciata tra sogno e realtà, incapace di dire le cose terribili cui è vittima di un mostro del palazzo. Bravissima la piccola Cristina Magnotti, meno Valeria Golino, opaca, nei panni della madre-psicologa. Film difficile e duro, forse troppo pensato, privo di luce, anche se utile a riflettere.