Fermate la cronologia, voglio scendere
Alzi la mano chi ha un account Gmail. Ok, ottimo. Ora alzi la mano chi si ricorda di aver ricevuto, alcune settimane fa, una mail dal signor Google che vi avvisava delle nuove norme sulla privacy che sarebbero entrate in vigore il primo marzo. Bene, vedo che siete già un po’ meno. Ora alzi la mano chi le ha lette attentamente subito, prima che scoppiasse il caso mediatico. Uhm, decimati, direi.
Al di là dell’ironia, ammettiamolo: la voglia di andare a leggere codici e codicilli, al di là della consapevolezza di quanto la privacy su Internet sia una questione sensibile, spesso ci manca. E se la questione non fosse finita su tutti i giornali, nonché sul tavolo della Commissione europea, probabilmente nessuno se ne sarebbe interessato un granché. Proprio Bruxelles, infatti, ha chiesto alla società di Mountain View una «pausa di riflessione» prima dell’introduzione di queste nuove regole, in seguito all’indagine avviata dalla Cnil – l’autorità francese per la protezione dei dati personali – che le ritiene incompatibili con la direttiva europea in merito.
Detta in soldoni, la svolta epocale non appare poi pericolosa: mentre prima i vari servizi forniti da Google – posta, calendario, video, ricerca, eccetera – funzionavano separatamente, ora sarà possibile unificare i dati: così, se cerco informazioni sugli indigeni della Papuasia, quando andrò su YouTube, magia delle magie, il primo risultato che mi apparirà sarà un documentario sui suddetti indigeni – dei quali, magari, mi ero già dimenticato. L’obiettivo dichiarato è di «rendere tutto più semplice per l’utente»; ma molte associazioni dei consumatori, nonché appunto diverse istituzioni, hanno lanciato l’allarme: seguendo la “pista” che lasciamo in questa maniera è possibile risalire anche a dati sensibili, relativi ad esempio alla salute, all’età, all’orientamento sessuale e politico.
Bella scoperta, direte voi: che fossimo condannati a lasciare traccia di ogni singola mossa sul web già lo sapevamo. Ma evidentemente il fatto che questa volta sia un colosso come Google a “legalizzare” una maniera di farlo assai più agevole, e che non ci sia possibilità di sottrarsi dopo la data fatidica – a meno di non smettere di usare il motore di ricerca –, ha chiamato a raccolta il popolo del web. Che in questi giorni ha cominciato a far circolare – molto spesso su Facebook, che per chi tiene alla privacy è probabilmente l’ultimo sito a cui collegarsi – le istruzioni su come far cadere nell’oblìo i propri dati di navigazione prima che le nuove regole entrino in vigore.
Basterebbe infatti, una volta entrati nel proprio account Google, cliccare sul pannello delle impostazioni (in alto a destra, dove compare il nome) e quindi su “Vai alla cronologia web”. Una volta entrati digitando la propria password, è sufficiente cliccare su “Rimuovi la cronologia web”. Da questo momento, come testimonierà la scritta in alto, questa sarà sospesa: Google, cioè, non potrà tenere conto dei siti che abbiamo visitato. Se in futuro dovessimo cambiare idea, sarà sempre possibile tornare sui nostri passi cliccando sul tasto “Rattiva”.
Basterà a proteggere i nostri dati? Probabilmente no, anche se è comunque una mole di informazioni in meno che rilasciamo in Rete. Quel che è certo è che la battaglia legale continua: Google potrà accogliere o meno l’invito dell’Ue, ma di certo dovrà rispondere alle domande della Cnil. Anche negli Usa, il Centre for digital democracy ha fatto ricorso alla Federal Trade Commission: se questa dovesse accertare che le nuove regole costituiscono una violazione di legge, riferisce il Daily Mail, potrebbe imporre una multa di 16 mila dollari per ogni giorno di violazione.
Al di là dei tecnicismi, le lamentele che si registrano sembrano essere riconducibili a una questione fondamentale: non sempre gli utenti sono adeguatamente formati ed informati per capire le politiche di privacy, non solo di Google, ma di tanti altri siti. E proprio per questo si chiede alle istituzioni di agire, perché là dove non arriva il singolo possano arrivare loro.