Fermare l’attimo ad Orvieto
Una bellezza unica, quella del duomo, minacciata dalle intemperie e dall'incuria
Il bello è bello (sembra un gioco di parole!), ma il bello minacciato, precario, sul punto di svanire, è più bello ancora: la bellezza dell’attimo fuggente, miracolosamente irripetibile, cantata da Goethe. Sarà per questo che col naso in su, davanti alla facciata di questo Duomo appena lavata da un temporale ed ora tutta fulgida per un raggio di sole sgusciato tra i nuvoloni, provo un brivido dovuto non proprio all’aria frizzante che tira quassù, in cima alla rupe.
Più di settecento anni conta questa meraviglia che assomma in sé il meglio di quanto han saputo profondere in genio artistico e abilità manuale più generazioni. E tuttavia questa perfezione che si direbbe eterna, sottratta al tempo come tutto ciò che porta l’impronta d’uno spirito immortale, quello dell’uomo, è minacciata da molti mali: ed ecco in anni recenti i mosaici esterni sbriciolarsi a poco a poco, e addirittura la pioggia lavare gli affreschi dell’interno; ecco, nella cappella del Signorelli, un affannarsi di medici attorno al capezzale dell’illustre ammalato.
Qualcosa s’è fatto, dunque, qualcosa si fa. Ma non basta perché Orvieto sopravviva (giacché tutta la città è il Duomo, questo spreco di bellezza su una rupe troppo infida). Non basta perché, di fronte ad essa, non si sia tentati di esclamare, solleciti d’un bene che si vorrebbe salvare anche per le future generazioni: «Fermati, attimo: sei bello!».