Fermare l’aggressore

Durante la conferenza stampa coi giornalisti sul volo di ritorno dalla Corea, papa Francesco ha affrontato, tra gli altri, l’argomento della drammatica situazione irachena e si è espresso con parole forti a proposito della guerra
papa Corea

Ancora una volta papa Francesco ci ha sorpreso. Alla fine dello straordinario viaggio in Corea, sull’aereo, in un dialogo con i giornalisti ha posto la grande  drammatica questione della guerra, ha parlato di terza guerra mondiale, «combattuta a capitoli». Su questo aspetto ritorneremo alla fine, ma esso rappresenta una lettura profetica del tempo che viviamo, una guerra che ormai diventa l’idolo a cui tutti si inginocchiano. Gli è stata posta la domanda sul diritto a fermare l’aggressore. Il papa ha detto che dove c’è un’aggressione ingiusta è lecito fermare l’aggressore ingiusto, specificando:  «Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati».

Facendo un rapidissimo giro di orizzonte tra le guerre degli ultimi 15 anni, la prima guerra in Iraq, l’Afghanistan, la seconda guerra in Iraq, il Kosovo, la Libia, la stessa vicenda siriana, vediamo che sono tutti casi nei quali, sostenendo di fermare l’aggressore, in realtà si è fatta la guerra e si è bombardato: una catastrofe umana di dimensioni incalcolabili. Le vittime innocenti con il loro patrimonio drammatico di dolore, sono ancora lì a denunciare la follia della guerra, la follia delle armi e dei bombardamenti. C’è un solo caso in cui si è fermato l’aggressore senza bombardare e fare la guerra: è la guerra israelo-libanese. Sotto l’egida delle Nazioni unite, una grande coalizione di interposizione militare è stata prodotta dall’iniziativa politica italiana, con il governo Prodi, che ha messo insieme i grandi Paesi europei, l’Europa intera, la Russia, la Cina, e fino ad oggi, sono passati ormai 8 anni, ha fermato la guerra, ha fermato l’ingiusto aggressore, ha fatto quello che il papa sembra chiedere anche oggi. Un solo caso, ma straordinario, frutto di una politica di visione ampia e di un’azione militare che è stata capace di riconoscere i diritti di tutti e le responsabilità di ciascuno. Questo può essere un esempio su cui riflettere per uscire da questo tempo di guerra.

Il secondo punto. Il papa, in modo sorprendente, dice che è disponibile ad andare in Iraq. Il papa non vuole fuggire dall’Iraq, non chiede alla popolazione di fuggire dall’Iraq, non chiede ai cristiani e a tutte le minoranze di ogni tipo di lasciare questo Paese, quindi compie un gesto “eversivo”, dice che bisogna andare in Iraq ed ha ragione perché la gente scappa non tanto perché è inseguita dalle armi, ma perché vive l’abbandono degli amici. Il papa con il suo impegno ad andare in Iraq chiede a tutti i cristiani di costruire un ponte di amicizia con i cristiani in Medio Oriente e i cristiani in Iraq e con tutte le minoranze che stanno pagando il prezzo terribile della guerra.

Alcuni Paesi europei hanno offerto ospitalità agli iracheni che fuggono; il papa fa il contrario, vuole andare a visitare queste comunità sofferenti, perché l’amicizia e la fraternità curino il cuore di questi popoli.

Terzo punto. Il papa, rispondendo sempre alle domande dei giornalisti, ha riflettuto sulla preghiera per la pace in Medio Oriente dell’8 giugno scorso. Francesco difende l’arma cristiana della preghiera; solo chi guarda in superficie la può considerare inutile e sconfitta, chi sa guardare con gli occhi di Dio capisce che si è aperta una porta che non può essere più chiusa. Mai come in questo momento l’impegno dei credenti a pregare per la pace diventa anche azione condivisa, c’è un rapporto fra il desiderio del papa di andare in Iraq e quella preghiera.

Ultimo punto. Il riferimento alle vittime e ai bambini. Il papa usa espressioni fortissime. «Vorrei fermarmi su due parole: la prima, crudeltà. Una volta si parlava di una guerra convenzionale, oggi questo non conta. Non dico che le guerre convenzionali siano una cosa buona, no. Ma oggi va la bomba e ti ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino, con la donna, con la mamma … ammazzano tutti. Ma noi dobbiamo fermarci e pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati. Ma, questo ci deve spaventare!».

Dunque le vittime sono la verità crocifissa della storia, rivelano l’idolatria della guerra. Qualcosa di analogo aveva detto papa Giovanni XXIII al cuore della crisi di Cuba.

Verrebbe da chiedersi: «Cosa c’entra la Cina con tutto questo?». C’è qui la grande apertura del papa alla Cina, senza catture, senza scomuniche, senza conquiste. Il papa sa che senza la Cina il mondo non avrà pace. Certo, la Cina insieme agli altri Paesi, ma senza la Cina il futuro sarà ancora più tragico. Occorre un dialogo di fraternità non opportunistico, ma un dialogo fatto di azioni e di parole di pace.

La pace anche in Europa e nel Medio Oriente sarà possibile coinvolgendo questo Paese che è un continente e che appare come un soggetto ineliminabile nel dialogo politico mondiale.

 

 

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