Fermare la strage si può
Di chi è la colpa? I morti sul lavoro alla Thyssen aspettano giustizia. E la magistratura certamente farà il suo lavoro. Ma a noi pare che le morti bianche siano state per troppo tempo accettate come un costo messo in cantiere sull’altare di una idea di sviluppo che oggi chiede una inversione di rotta anzitutto culturale. Puntare il dito non basta e forse non serve – dice Emanuela, sindacalista di base -. I controlli ci sono, le leggi pure. Tutto migliorabile, ma occorre fare rete, cioè convincere aziende e politica, lavoratori e sindacalisti che il fine ultimo nell’impresa è la persona. Un parere che va contro i fischi di Torino, rivolti in modo equanime contro sindacati e imprenditori, ma che tocca il fondo della questione sicurezza nelle imprese: mettere la persona sul tavolo delle problematiche della produzione. Tutti hanno responsabilità, ma è giusto distinguere. Quelle delle aziende sono notevoli; molte anche quelle delle istituzioni e degli organi preposti alla vigilanza. Il sindacato porta le sue, prima tra tutte quella di non coniugare adeguatamente il bene lavoro e la salute e di non essere così attento alla tematica quando sviluppa le lotte per i rinnovi contrattuali. Certamente, però, le aziende non possono chiedere lo straordinario al lavoratore come se fosse atto dovuto e non quello che è, cioè una situazione di emergenza produttiva, perché oltre un certo tempo di lavoro i rischi aumentano esponenzialmente. E occorre rispettare le leggi, ma anche immaginare nuovi sistemi di sicurezza, sensibilizzare maggiormente i lavoratori e controllare che i datori di lavoro, che della sicurezza sono i primi responsabili, rispettino le norme. Le ispezioni vanno intensificate specie nelle realtà più a rischio (i cantieri edili, per esempio, certi lavori agricoli o industriali), ma occorre anche capire che la sicurezza non è una astrazione ed ha come obiettivo la tutela della salute di chi lavora. i lavoratori più tutelati (impiegati nelle pubbliche amministrazioni, per esempio, o nei settori dei cosiddetti colletti bianchi) e quelli più esposti a rischi fisici o psicologici. È necessario, cioè, che tutti si facciano carico di un problema che non è di una categoria, ma riguarda la civiltà di un Paese, il suo grado di sviluppo sociale. In concreto, bisogna sostenere una promozione e una diffusione della mentalità della prevenzione e della sicurezza, con investimenti previsti sia a livello governativo e parlamentare, sia con norme ben precise nei contratti collettivi ed individuali di lavoro. Si muore nelle fabbriche, ma sono ancora molti i luoghi di lavoro dove gli incidenti causano vittime e feriti. La zona grigia è rappresentata dai lavoratori in nero, specie extracomunitari, dai cantieri non a norma, dalle aziende gestite da speculatori che non rispettano gli standard minimi di sicurezza. Un arcipelago che nel nostro Paese sembrava ricordo del passato, ma che, purtroppo, è una realtà che negli ultimi anni si è assai generalizzata. In barba alla civiltà delle leggi, numerose imprese, gestite da imprenditori che portano in Italia mentalità dei loro Paesi di provenienza, spesso del Sud del mondo, sentono la sicurezza solo come un costo. Dopo lo scempio alle acciaierie della ThyssenKrupp, il governo ha deciso che si può fare di più. Forse sarebbe stato meglio, se è vero che si può fare di più, averlo fatto prima. Tuttavia non siamo sicuri che leggi e controlli, come detto, possano davvero cambiare radicalmente la situazione. Forse potranno far emergere realtà ancora in ombra, ma la soluzione al problema sta nell’agire insieme. Quella della sicurezza è materia che imprenditori, sindacati e governo hanno tutto l’interesse a gestire con efficacia, perché, se la sicurezza costa, la non sicurezza costa ancora di più: è stata questa la lezione degli anni Sessanta. Un lavoratore inutilizzabile (per usare un linguaggio che non ci appartiene) ha un costo sociale che poi si scarica su imprese, Stato e cittadini; mentre, invece, una persona che sta bene nella sua azienda rende di più. È una risorsa che negli ultimi tempi è stata riscoperta dai fautori della qualità totale e che può aiutare a migliorare la qualità della produzione e a razionalizzare il lavoro. Prevenendo così gli incidenti e abbattendo decisamente il numero dei morti. LA SPIA DI UNA CRISI Di fronte ai numeri delle morti e degli incidenti sul lavoro indignarsi non basta. Occorre non arrendersi! I dati ufficiali (e questa espressione ha un significato importante, perché c’è la tendenza a non denunciare gli incidenti, specie se si tratta di lavoro nero) dicono che tra il 2003 ed il 2005 – fonte Eurispes su dati Inail – c’è stata una diminuzione del fenomeno di circa il 4 per cento annuo, ma su livelli comunque altissimi: nel 2005 gli incidenti furono poco meno di 940 mila e i morti 1.206. Questi morti non sono frutto solo di malaugurati incidenti causati da un improvvida inosservanza delle leggi e delle disposizioni in materia di sicurezza. Esse rappresentano una conseguenza dell’orientamento dell’attuale modello di sviluppo e delle priorità date ai valori in gioco. I settori dove è necessario aumentare i controlli sono quello agricolo e quello delle costruzioni, che hanno tassi di infortunio molto più alti degli altri. Sede delle lesioni sono soprattutto le mani e gli occhi, colpiti in maniera spesso permanente, ma a fare le spese della inosservanza degli standard di sicurezza sono anche colonna vertebrale e arti in genere, con un costo sociale altissimo. 36 NUOVE NORME NEL 2007 Quella sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è una delle normative più complesse del sistema giuridico italiano. Nei soli primi undici mesi del 2007 sono stati ben 36 i decreti legislativi o ministeriali e le leggi emanate in materia. Si va dal recepimento di norme comunitarie sulla sicurezza dei giocattoli al miglioramento della sicurezza nei porti, fino a norme di sicurezza per gli spettacoli viaggianti. La norma principale di riferimento resta comunque il decreto legislativo 626 del 1994, che prevede gli obblighi sia del datore di lavoro e del dirigente, sia dei lavoratori, dei progettisti, fabbricanti, fornitori e installatori. Il datore di lavoro, ai sensi del 626, ha l’obbligo di organizzare all’interno dell’azienda il servizio di prevenzione e protezione dagli incidenti mentre i lavoratori hanno un proprio rappresentante per la sicurezza. Questi è, di norma, uno degli eletti nella rappresentanza sindacale unitaria e ha il compito di segnalare e vigilare sul rispetto della normativa. Il decreto 626 impone obblighi al datore di lavoro anche in relazione alla formazione dei lavoratori in materia di sicurezza.