Fermare la guerra in Ucraina, quali sanzioni al posto delle armi?
Nel suo breve e intenso discorso in diretta video con il Parlamento italiano riunito in seduta straordinaria, il presidente Volodymyr Zelensky ha messo in evidenza la situazione drammatica che sta vivendo l’Ucraina che resiste all’invasione russa invitando ad immaginare un’aggressione bellica per una città italiana come Genova che ha caratteristiche simili a quella ucraina di Mariupol:«L’invasione russa sta distruggendo le famiglie, la guerra continua a devastare città ucraine, alcune sono completamente distrutte come Mariupol, che aveva mezzo milione di abitanti, è come Genova, immaginate Genova completamente bruciata». Lo strazio si fa ancor più lancinante con riferimento ai bambini uccisi, 117 al momento di una orribile contabilità.
Zelensky, salutato con un’ovazione dei parlamentari presenti, ha toccato questioni umanitarie ringraziando per l’accoglienza ricevuta dalle istituzioni e dal popolo italiano, si è poi spinto sulla necessità di colpire i beni posseduti in Italia dai ceti abbienti russi, ma non ha fatto cenno alla richiesta di no fly zone sui cieli ucraini o agli aiuti militari già disposti dal nostro governo e ribaditi con orgoglio da parte dell’altrettanto breve discorso di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio italiano ha affermato che gli ucraini non combattono solo per sé stessi, ma per la pace e la nostra sicurezza e vanno perciò aiutati senza mezzi misure o indifferenza.
Draghi ha poi esplicitata la volontà dell’Italia di sostenere un percorso di progressivo ingresso di Kiev nell’Unione europea, scelta che da tempo viene presentata come punto di equilibrio per possibili trattative di pace che coinvolgono invece la questione dei rapporti con la Nato e lo stato di neutralità dell’Ucraina.
Nella vasta e quasi unanime maggioranza parlamentare che ha votato a favore dell’invio di armi, tra cui l’opposizione di Fratelli d’Italia (cfr intervista a Rampelli) pubblicamente ringraziata da Draghi, si sono distinti in pochi, tra i quali il deputato di Leu Stefano Fassina, che non ha avuto il timore di esprimere il proprio disagio di fronte a scelte laceranti a partire dalla sua competenza di economista che intravede l’invio di armi all’Ucraina come una scelta apparentemente più “semplice” ma meno efficace di più decise sanzioni di tipo economico verso la Russia per fermare la guerra.
Il punto politico secondo Fassina non è “dove stare” ma “come stare” con L’Ucraina. Cerchiamo di capire meglio tale posizione tramite questa intervista.
Non sorprende la quasi unanimità del Parlamento nel voto favorevole all’invio di armi all’Ucraina. Lei l’ha definita una scelta apparentemente più semplice in mancanza di altre misure più efficaci di natura economica. Quali sarebbero? E perché non sono state adottate a livello italiano e europeo?
In alternativa all’invio di armi, si sarebbe dovuta percorrere sin dall’inizio una linea più radicale di sanzioni economiche ad effetto immediato e ad applicazione condizionata all’effettiva cooperazione della Russia al tavolo delle trattative con l’Ucraina.
Inoltre, si sarebbe dovuto da subito prospettare alla Cina le conseguenze economiche in termini di dazi all’import di fronte a una perdurante ambiguità o, ancor di più, di fronte alla collaborazione con la Russia ad aggirare le sanzioni inflitte dal G7 e dagli altri Stati.
Infine, le sanzioni decisive sarebbero dovute entrare in vigore immediatamente: invece, il blocco di Swift, il sistema internazionale di pagamento tra banche, non soltanto ha riguardato soltanto il 25% delle banche russe, ma è anche entrato in vigore dopo 10 giorni dalla decisione. Così, chi sarebbe stato colpito, oligarchi in primis, ha avuto tutto il tempo per trasferire i propri asset finanziari e le attività in valuta nelle istituzioni di altri Stati o lasciate fuori dal blocco di Swift. Le ragioni per le quali le sanzioni non sono state più incisive e immediate sono evidenti: gli interessi colpiti sono fortissimi, anche in Occidente e avrebbero determinato effetti ancora più pesanti anche per noi. Più facile essere solidali con l’invio delle armi accompagnato dalle forzate analogie con la nostra Resistenza.
Sotto l’onda del conflitto in Ucraina la Camera ha approvato un Ordine del giorno che impegna il governo ad aumentare le spese militari fino al 2% del Pil. Una linea comunque prevista da tempo nel quadro della nostra appartenza all’Alleanza atlantica e sostenuta da influenti pensatori liberal come l’Istituto Affari internazionali. Che tipo di dibattito esiste in parlamento sul nuovo concetto strategico di difesa della Nato che verrà approvato a fine marzo a Madrid?
La discussione è circoscritta alla Commissione Difesa. In aula non abbiamo affrontato il tema in modo specifico e adeguato. Ritengo che la discussione sulle spese militari debba essere svolta nel quadro della visione di Unione Europea da provare a costruire. È la ragione per la quale non ho votato contro l’ordine del giorno proposto. L’Ue, per maturare sul piano politico, deve conquistare un’autonomia dalla Nato. È un’amara verità. Altrimenti andiamo a rimorchio degli Stati Uniti. Con Washington, l’alleanza deve rimanere stretta, ma la subalternità militare, quindi politica, va ridotta. Soltanto così, possiamo provare a far valere i nostri interessi specifici e far incidere la vocazione europea alla pace. Il punto inaccettabile è il potenziamento degli asset militari affidato a programmi nazionali e al bilancio nazionale, come la Germania ha incominciato a fare e come previsto dal comunicato conclusivo del vertice dei Capi di Stato e di Governo europei a Versailles. Il potenziamento militare deve essere perseguito come strategia di difesa europea, spesa europea e finanziato da Eurobonds. Quindi, non vuol dire coordinare le spese aggiuntive nazionali per la difesa, vuol dire difesa europea legata ad una politica estera europea e risorse economiche europee.
Come ha votato sull’invio degli aiuti militari in Ucraina e perché?
Sull’invio delle armi a Kiev mi sono astenuto sia sulla risoluzione bipartisan, sia nel voto finale sul Disegno di Legge di conversione del Decreto Ucraina. Nel primo caso mi sono astenuto perché il punto della risoluzione in oggetto conteneva anche l’invio di assistenza umanitaria e l’accoglienza dei profughi. Nel secondo caso mi sono astenuto perché, come ho indicato nella dichiarazione di voto in dissenso dal mio gruppo parlamentare, l’atto in votazione conteneva, oltre all’articolo 5-bis, altri articoli totalmente condivisibili relativi ai rifugiati, all’aiuto ai ricercatori e studenti ucraini in Italia e sostegni alle imprese italiane esportatrici in Russia, Bielorussia e Ucraina.