Fermare la guerra, intervista a Gianni Alemanno

Dialogo con Gianni Alemanno sulle ragioni che sono alla radice del comitato “Fermare la guerra” nato da esponenti della destra italiana. La questione della sovranità nazionale in un mondo multipolare, il ruolo della Nato e il cessate il fuoco necessario per fermare l’escalation della guerra in Ucraina
Fermare la guerra (AP Photo/Vadim Ghirda, File)

Gianni Alemanno è un esponente di primo piano della destra italiana che ha preso una posizione divergente da quella promossa dalla dirigenza di Fratelli d’Italia e quindi dal governo di Giorgia Meloni. La linea atlantista di sostegno militare all’Ucraina è in diretta continuità con il precedente esecutivo guidato da Mario Draghi, come confermato dal presidente della Repubblica Mattarella e dal capo del governo Meloni durante il recente incontro con il presidente ucraino Zelensky che ha fatto scalo a Roma, Berlino e Londra per chiedere nuove armi per sostenere lo sforzo bellico di contrasto dell’invasione russa.

Alemanno è, invece, tra i promotori del comitato “Fermare la guerra” che esprime un’area culturale molto critica verso l’attuale politica estera del nostro Paese. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio la sua opinione che proviene da quello stesso ambiente della destra sociale  frequentato anche dalla Meloni perché radicato storicamente a Roma, meravigliosa e complessa città capitale di cui Alemanno è stato sindaco dal 2008 al 2013, dopo aver fatto il ministro dell’Agricoltura e Foreste dal 2001 al 2006 provenendo da una lunga militanza cominciata nelle formazioni giovanili del Movimento sociale Italiano.

(AP Photo/Bernat Armangue)

Si può dire che lei rappresenta la destra pervasa da un atavico antiamericanismo che giustifica l’attuale posizione contraria alla guerra in Ucraina?
Vengo da una storia che ha espresso una visione anti imperialista più che antiamericana. Le giovani generazioni della destra degli anni 70 sognavano un’Europa indipendente da Usa e Urss e quindi fuori dal cono d’influenza degli Stati Uniti d’America, che noi vedevamo come la patria del consumismo, del materialismo e del liberismo. Oggi non possiamo più parlare degli Usa come di una realtà unitaria perché si tratta di un Paese internamente diviso e quasi sull’orlo di una guerra civile. Preferiamo perciò parlare di amministrazione Biden – di segno opposto a quella di Trump – e soprattutto contrastare quel modello unipolare, che ha preso corpo dopo il crollo del muro di Berlino, che vede l’Occidente, inteso come Stati Uniti e Paesi Nato come il poliziotto buono del mondo chiamato a combattere i cattivi di turno, dai Paesi islamici alla Russia, ecc. È una concezione fatta propria dall’ideologia dem statunitense e dai neo-conservatori repubblicani seguaci della famiglia Bush. Un’idea errata e pericolosa in un mondo che è ormai multipolare, in cui cioè ogni area geo-politica può esprimere la propria autonomia a partire in campo valutario. Non si tratta perciò di considerare gli Stati Uniti come un nemico ma neanche accettarlo come dominus del pianeta o uno dei due cardini di un nuovo e assolutamente negativo bipolarismo Usa Cina.

(AP Photo/Alex Brandon)

Con quali correnti culturali presenti negli Usa trovate maggiore affinità?
Qui entriamo nella contraddizione Trump. L’ex presidente Usa rappresenta una tendenza diversa del suo Paese ma è anche un personaggio molto rozzo sul piano etico ed estetico. La sua politica sul piano internazionale esprime l’abbandono di una visione di potenza planetaria degli Usa tanto da aver detto sostanzialmente ai Paesi europei “organizzatevi da soli”. Paradossalmente rappresenta un invito da prendere sul serio come Europa. Nei fatti anche i repubblicani sono spaccati al loro interno, con l’area dei neoconservatori che restano convinti della missione degli Usa di esportare la democrazia nel mondo, mentre sono convinto che con Trump alla Casa Bianca non avremmo avuto la guerra in Ucraina. È una semplice constatazione e non la proposizione del magnate statunitense come modello di vita.

Steve Bannon, l’ideologo di Trump che voleva fondare una scuola di politica in Italia, rientra in questo tipo di visione?
Bannon non è per noi un punto di riferimento perché portatore di troppe contraddizioni. Si dichiara, ad esempio, sovranista ma è anche ultraliberista.

Eppure Bannon è stato invitato con grande interesse alle feste di Atreju…
E infatti non è stato invitato da me ma dalla Meloni in un periodo in cui Fratelli d’Italia si definiva un partito conservatore e sovranista, mutando poi verso una posizione di neo conservatorismo di tipo statunitense.

Archivio ©Andrea D’Errico LaPresse

Cosa la distingue oggi dalla linea della Meloni? In fondo venite dalla stesse radici nel Movimento sociale italiano seppur con maestri di riferimento diversi (Alemanno viene dalla scuola di Pino Rauti, ndr). Quale è stato il momento della divisione?
C’è da prendere in considerazione il peso che ha avuto per me e per altri, oltre il pensiero della destra sociale, la posizione dell’autodeterminazione dei popoli che si esprimeva nello slogan rivolto agli Usa “alleati sì, servi mai”, maturata nei gruppi giovanili del partito negli anni 70 e 80, condivisa anche dalla Meloni. Cosa è cambiato? A mio parere una diversa concezione dell’interesse nazionale che vedo declinato dalla Meloni nel senso di voler tentare di  essere i “primi della classe” in Occidente (nella fedeltà agli Usa, ndr) e anche in Unione europea. Una scelta che non tiene conto del fatto che non esiste una sola guerra fatta dalla Nato negli ultimi anni che si sia rivelata favorevole ai nostri interessi nazionali: Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia e ora Ucraina.

Quindi cosa proponete?
Una linea dell’Italia più autonoma e non subordinata agli Usa e all’Ue. Una posizione cioè più negoziale, radicalmente diversa da quella adottata da Draghi in poi  che ci fa rimpiangere l’autonomia espressa dall’Italia, pur in un mondo diviso in blocchi, da leader democristiani come Moro, Fanfani e Andreotti che espressero una politica aperta di ponte verso il Sud e l’Est e non da prima linea cobelligerante, come è la condizione attuale del nostro Paese con la guerra in Ucraina.

Draghi ha espresso, in Parlamento come nei discorsi a Washington, con estrema chiarezza lo stretto legame che deve esistere tra europeismo e atlantismo …
È un pensiero coerente e prevedibile per chi come l’ex governatore della Bce si è formato nella grandi banche americane. Quello che stupisce è la continuità di questa linea da parte di Giorgia Meloni dopo anni di opposizione ai precedenti governi, compreso quello di Draghi.

A dire il vero Fratelli d’Italia ha espresso immediatamente il proprio sostegno alla fornitura di armi a Kiev …
È cosi, ma io spero, da persona che viene dalle stesse radici, che ci sia un ripensamento da parte del governo Meloni anche per quanto riguarda la linea di politica economica liberista che è in totale continuità con Draghi. L’Italia è ora schierata su una linea molto più oltranzista di Francia e Germania sulla guerra in Ucraina e stiamo inviando la portaerei Cavour nell’Indopacifico per farci coinvolgere nella contesa su Taiwan tra Cina e Usa.

Nato archivio vertice 2021 Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Ma questa non è la semplice applicazione del nuovo concetto di difesa adottato dal nostro Paese ormai da decenni di difendere gli interessi occidentali in qualunque parte del mondo vengano minacciati? Visione che giustifica il tipo di armamenti acquistati come i caccia bombardieri di nuova generazione.
Ma si tratta di una proiezione esterna di carattere ideologico che non ha  fondamento sulla realtà. La scelta di contrapposizione oltranzista verso la Russia ci ha condotto alla guerra in Ucraina con pesanti effetti  sulla nostra economia. Di fatto la Nato si è trasformata da alleanza difensiva nello scenario atlantico a strumento di intervento su scala planetaria senza che ci sia stata una rinegoziazione del trattato che ha istituito la Nato e senza un dibattito in Parlamento. Sinceramente è qualcosa che lascia esterrefatti e va contro la Costituzione che nell’articolo 11 afferma il ripudio della guerra da parte della nostra Repubblica e tutto questo avviene nel silenzio del Parlamento e della politica.

Il secondo comma dell’articolo che prevede una cessione di sovranità è interpretato da molti costituzionalisti come un via libera alla partecipazione ad alleanze internazionali, comprese quelle regionali come la Nato…
Esatto, ma appunto secondo il trattato Nato l’intervento di difesa scatta solo in caso di attacco diretto rivolto verso l’Italia o uno dei Paesi dell’Alleanza atlantica. Non esiste un trattato internazionale votato dal Parlamento che ci impone una proiezione offensiva su scala planetaria. Il secondo comma dell’articolo 11 non giustifica la sottomissione a ciò che decidono gli Stati Uniti.

Da ex ministro ed ex sindaco di Roma ritiene realistico uscire dalla Nato?
Non è realistico, ma occorre starci in maniera non subordinata ed esercitando un posizione critica dall’interno senza sacrificare gli interessi nazionali.

Restando nel quadro europeo siamo nel pieno di una guerra dagli esisti imprevedibili. Cosa dovrebbe fare l’Italia?
Siamo di fronte all’aggressione di un Paese sovrano e l’Italia doveva reagire ad unaviolazione di sovranità operata dalla Russia. La reazione però può avvenire in tanti modi, con le sanzioni economiche, il soccorso umanitario e l’attività negoziale da proporre su tutti i tavoli possibili per risolvere il problema. Di fatto non esiste un piano di pace italiano o europeo ma ci siamo adeguati alla scelta di fornire le armi all’Ucraina come richiesto da Usa e Nato, rimettendoci alla decisione di Zelenski per qualsiasi ipotesi di cessare il fuoco. Non abbiamo neanche avanzato la proposta di sospendere l’invio di armi in cambio di un cessate il fuoco. Nel mezzo di una guerra non si possono risolvere tutte le cause che l’hanno generata, al contrario si deve partire da un cessate il fuoco salvando più vite umane possibili e poi, passo dopo passo, trovare una soluzione.

Milizie filorusse nel Donbass

Le cause della guerra sono complesse come sempre …
È un conflitto nato nel 2014 con il cambio di regime e l’avvio da parte ucraina di una feroce guerra civile nella regione del Donbass. Gli accordi di Minsk non sono stati fatti rispettare dall’Occidente e ci sono molte ammissioni sull’esistenza di una strategia per considerare tali accordi come un modo per dare tempo all’Ucraina di armarsi. Va condannata la scelta dell’invasione russa del 24 febbraio 2022 ma la realtà non è quella di uno scontro tra il male e il bene. Pensare di risolvere la questione provocando la caduta di Putin è irrealistico e pericoloso perché ci spinge verso la guerra totale. Il rischio del disastro nucleare è quanto mai reale. Putin è un soggetto con cui trattare, e quindi fare di tutto per arrivare al cessate il fuoco, oppure un pazzo criminale da eliminare in ogni modo fino alle più estreme conseguenze?

La Meloni giustifica il sostegno militare all’Ucraina con il principio di autodeterminazione dei popoli…
Credo che tale principio sia un punto dirimente purché si faccia riferimento alla dichiarazione costitutiva dell’Onu che garantiva i confini degli Stati come erano stati definiti dopo la seconda Guerra mondiale. Per tale motivo, considerando che l’Ucraina era parte dell’Urss, l’autodeterminazione deve valere per Kiev ma anche per la popolazione del Donbass e della Crimea. L’indizione in queste aree contese di veri referendum, garantiti dall’Onu, è parte di una trattativa di pace possibile.

Ma senza fornitura di armi, secondo la tesi prevalente, non ci sarebbe la possibilità di una trattativa se non la resa. Si sostiene la resa davanti all’aggressore?
Il sostegno militare può essere anche giustificato ma il punto è che non esiste alcun piano di pace da parte europea. Anzi l’Italia ha sposato la linea oltranzista angloamericana senza esercitare quella funzione di ponte che ad esempio ha cercato di svolgere la Turchia, Paese Nato che non ha fornito le armi. Una linea, quella italiana, completamente diversa dalle sollecitazioni e dagli appelli lanciati dal Vaticano.

Missile nucleare russo AP /Russian Defense Ministry Press Service

Una domanda particolare per lei che ha vissuto direttamente gli anni più duri dello scontro politico in Italia. Esiste una riflessione sulla lotta nonviolenta all’interno del mondo della destra così come avviene nella sinistra marxista che ha messo in discussione la violenza come “leva della storia”?
Non è una riflessione estranea alla nostra storia. Proprio quando sono stato segretario nazionale del Fronte della Gioventù si rivalutò la figura di Gandhi che con metodi nonviolenti riuscì a realizzare la liberazione della sua nazione dall’imperialismo inglese. La nonviolenza è centrale nel momento storico attuale segnato dalla presenza di un devastante arsenale bellico autodistruttivo. In ogni contesto vanno trovate forme di composizione nonviolente dei conflitti. Non siamo però dei pacifisti assoluti perché accettiamo il caso estremo di ricorso alle armi, stando attenti tuttavia a non lasciarci coinvolgere da chiamate alle armi nei diversi contesti internazionali lontani dal nostro interesse nazionale e importanti solo per la strategia di potenza americana, mentre tante altre guerre restano dimenticate e non suscitano l’intervento dell’Occidente. Quella in Ucraina è solo un tassello di quella “guerra mondiale a pezzi” denunciata da tempo dal Santo Padre.

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