Ferito da quelle convivenze

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Paolo non riusciva a ritrovare la serenità, neppure cercando di dimenticare le preoccupazioni davanti ad un libro del suo autore preferito. Pensando ai figli, sentiva che la tensione e la delusione avevano fiaccato il piglio gioioso con cui affrontava sempre la giornata e le sue difficoltà: la realtà che stava vivendo in famiglia gli determinava una sorta di amarezza, che gli aveva invaso l’anima. Quel giorno, anche l’ultimo figlio, Salvo, come gli altri più grandi, se ne era andato di casa, per convivere con la sua ragazza. Nessun interesse da parte loro per un eventuale matrimonio, nessun progetto che potesse dare un segnale di matura responsabilità: ecco cosa vedeva Paolo in quelle decisioni. Rigirandosi il libro fra le mani, sentiva quelle righe lontane e invece ripensava alla sua vita con Luciana: l’affetto, la fedeltà, la dedizione, l’amore su tutto e tutti imparato con pazienza, per quei figli accolti e cresciuti con attenzione e superando ostacoli e incomprensioni, come accade in tutte le famiglie. Poi le soddisfazioni e il sollievo di vederli realizzati. E poi anche la scelta di compagne di viaggio, rimaste tali nei mesi trascorsi. Solo compagne. Niente di più. Non un impegno grande e tenace, non la voglia di alzarsi e guardare in alto, al futuro, con speranza, sopra la mediocrità quotidiana di una società confusa. Così pensava Paolo. Nel pieno rispetto delle scelte dei figli, pur avendo guidato il momento del discernimento, ora più forte che mai, il giudizio gli sgorgava dal cuore ferito, goccia di verità, una verità sofferta, ma che sentiva di dover dare, per amore. Fuori il cielo si faceva grigio, sempre più minaccioso. Un altro giorno avrebbe considerato la possibilità di condividere quella fitta con Luciana, per trovare ristoro, forse per tentare anche di consolarla, perché sapeva bene quanto quel cuore di madre avesse sofferto per ciascuno di quei figli anche in quella decisione, sorpresi del loro doloroso stupore: Dai, mamma, convivere ormai è una scelta diffusa, di che cosa ti preoccupi?. Forse era quella nuova superficialità che li feriva più di qualunque altra cosa, la sensazione di non aver forse saputo essere testimoni luminosi di vita vera di famiglia, di non aver aperto uno squarcio, in quel buio incerto. Perché di buio si trattava, ne era certo. Che lui si faccia presente Un desiderio gli bruciava l’anima, e Paolo cercava di leggerlo con umiltà: trovare una fonte per capire quella sofferenza, per darle un nome e una fisionomia che lo avrebbe aiutato. Una frase gli riecheggiava nuova e antica nelle stesso tempo, quando Giulio, suo fratello, sapendolo in pena, gli aveva scritto quanto l’amico don Giussani diceva: il problema della vita non è quanto (i figli) sono in grado di aderire e di fare cose buone, ma solo che lui si faccia presente. E aveva aggiunto: Con questa forza affrontiamo, apprezziamo e amiamo tutto. Gli veniva chiesto di rompere con le sue certezze, la sua visione della vita, rompere per essere solo accoglienza, quasi dovessero nascere ancora, con tutto il bagaglio di novità e di incongruenze, ma questa volta adulti. E tutto gli sembrava così difficile, ma anche così vero, più vero della verità che voleva riaffermare a questi figli così lontani. E ancora Paolo ripescava dalla memoria un flash per fare luce su quel buio: Se Gesù è il maestro, un dovere dei genitori cristiani sarà quello di guardare a lui per imparare come educare. Erano parole di Chiara Lubich, ascoltate nel lontano 1987 ad un congresso sulla famiglia e l’educazione. Già… e a Paolo sembrava ancora più difficile. Qualcosa gli diceva che aveva a che fare anche con il proprio orgoglio. Ma tutto non era ancora chiaro. Cercò il testo di quel discorso, a cui mai avrebbe pensato di riandare con quella sete di luce. E in quella confusione d’anima e di appunti e di fogli non catalogati, ritornò a quell’insegnamento. Si parlava dell’amore soprannaturale dei genitori: Se ameranno con la carità di Dio, la carità di chi ama per primo, senza aspettarsi nulla. È un amore questo che non lascia mai indifferenti. A Paolo sembrava giusto questo, lo sentiva suo, ma troppo grande… Uno solo è il maestro Ecco, aveva trovato gli appunti preziosi: Le parole dei genitori devono sempre incoraggiare, essere cariche di speranza, positive, devono manifestare tutta la loro certezza nella ripresa dei propri figli… Gesù lascia libertà e responsabilità di decisione, come fa quando incontra il giovane ricco. Non si devono mai imporre le proprie idee, ma offrirle con amore, come espressione d’amore… I figli sono prima di tutto figli di Dio e non nostri. Non vanno trattati quindi come proprio possesso, ma come persone a noi affidate. Lui e Luciana si erano sempre ripetuti quella realtà, ma forse proprio per questo sentiva sulle spalle tutta quella responsabilità e quella delusione. Chi ama suo figlio è pronto a correggerlo, è scritto nel libro sacro dei Proverbi – spiegava Chiara Lubich -. Guai se non si corregge! Si sarà responsabili d’una tale omissione! L’ammonimento dato con pace, con calma, con distacco pesa sulla responsabilità dei figli che se ne ricorderanno. Bastano poche parole suggerite da un amore vero, puro, disinteressato. E poi… la misericordia del padre e della madre in una famiglia deve arrivare a saper veramente dimenticare, al tutto copre della carità di Dio. Fu allora che Luciana bussò alla porta, forse stupita da quel lungo silenzio di Paolo, forse no: Al telefono c’era Salvo, ha chiamato per invitarci stasera a cena, a casa loro. Luciana aveva sussurrato l’invito. E immaginava che Paolo si sarebbe rivolto a lei con un amaro sorriso e le avrebbe detto che non se la sentiva, no, doveva dare un segno di coerenza… Invece Paolo le chiese solo un momento. E continuò la sua lettura: Dio si fa sentire nel cuore dei nostri figli. Ed essi reagiscono positivamente solo alla verità, quando questa viene loro presentata con un linguaggio ad essi accessibile e da essi accettabile, perché espresso da genitori che, prima di insegnare, hanno fatto lo sforzo di capire e condividere. Paolo si era soffermato su quelle parole e poi su quelle seguenti, che come un fiume in piena avevano invaso l’animo senza placarlo. Così, dopo qualche istante aveva invitato Luciana: Che Dio sia fra noi, perché lui sia il maestro davvero, perché si veda che è possibile amarci davvero, perché amiamo loro in lui, al disopra di tutto. E sì, andiamo a cena da questi figli. Ci aspettano. Si aspettano anche che abbiamo fiducia in loro, Paolo. E voglio pensare che sono figli di Dio prima di tutto. Li ho messi fra le sue braccia e so che lui colmerà i vuoti che abbiamo lasciato nel nostro cammino e giungerà dove noi due non abbiamo saputo e potuto arrivare. Vieni, andiamo a cena da loro. Il cielo era ancora minaccioso, come il cuore di Paolo, duro morire a sé stesso: ma la strada da percorrere avrebbe allontanato i confini del suo io, dandogli il tempo di una preghiera di riconciliazione.

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