Fenomenologia di una lite in diretta tv

La plateale rottura fra Trump e Zelensky a beneficio degli schermi del mondo intero può essere soggetta a molteplici letture: diplomatica, politica, comunicativa e forse pure psicologica. Siamo nel teatro dell’arte?
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky col presidente Donald Trump e il vicepresident JD Vance alla Casa Bianca, Washington, DC, USA, 28 febbraio 2025. Ansa EPA/JIM LO SCALZO / POOL

L’inedito scontro in diretta, davanti a giornalisti e telecamere tra i presidenti ucraino e statunitense ha forse rimescolato le carte della geopolitica mondiale, ma ha pure svelato scenari inediti della vecchia politica. Una spia di queste molteplici letture possibili viene anche dall’incredibile serie di video realizzati con l’Intelligenza artificiale, uno più comico dell’altro, che prendono in giro i personaggi da cartoon prestati alla politica. Ma vediamo alcune letture possibili dello show cui abbiamo assistito, in attesa di nuovi incontri e di nuovi spettacoli.

La prima lettura è ovviamente quella diplomatica. Il segreto e il silenzio erano i primi comandamenti della diplomazia. Le forme erano sostanza, ma ora sono volate in pezzi. La cortesia di facciata permetteva di lasciarsi comunque aperta una via di riserva nelle trattative. Nella diplomazia si lavora in effetti spesso di sponda, ma in questo caso c’è stata una precisa volontà di scontrarsi in diretta, da entrambe le parti, per motivi evidentemente divergenti. Nello stesso tempo è arduo capire (soprattutto per noi comuni mortali) quali siano stati gli infingimenti nello scontro.

La seconda lettura è politica. Il dossier ucraino permette a Donald Trump di rientrare sulla scena mondiale come un uomo politico che vuole pragmaticamente la pace. Zelensky può però rilanciare in questo modo spettacolare la propria difficile posizione interna e le necessarie elezioni che Trump cerca di influenzare già incontrando le opposizioni all’attuale presidente. Alla faccia, vien da dire, del rispetto dell’autonomia politica dei singoli Paesi! È un vecchio vizio statunitense, questo, visto che già nel 2014, per la caduta del presidente filorusso Yanukovyc, i servizi Usa avevano pesantemente interferito nella situazione interna dell’Ucraina. Su un altro versante, l’Europa appare lo zimbello di Trump, ma per reazione è in condizioni di ritrovare un po’ della coesione persa per strada. Soprattutto, però, il ritorno di Trump verso Putin dimostra che Washington si sta posizionando nella vera e sola guerra, quella con Pechino.

Una terza lettura, ovviamente, è quella informativa e comunicativa. Innanzitutto va sottolineato il fatto che lo scontro sia avvenuto in diretta, la madre di tutte le forme di informazione. Entrambi i presidenti sono attori consumati, bucano lo schermo come si dice, hanno giocato i ruoli fondatori del potente e della vittima. Ormai anche nelle relazioni pubbliche è la logica social che vince, pochi gesti, poche batture ma ben studiate. C’è chi dice che il presidente ucraino sia caduto in un’imboscata, ma probabilmente lo ha fatto coscientemente. Da notare, inoltre, che Trump ha usato questa volta “la spalla”, cioè il vicepresidente Vance, un vecchissimo trucco cinematografico.

Quarta e per ora ultima lettura, quella psicologica. Due ego di una certa ampiezza si sono scontrati. Il narcisismo dei due contendenti è stato cioè esemplare. In particolare, l’autostima di Trump deve essere al livello più basso, se continua a chiedere esercizi di riconoscimento del suo potere, mentre Zelensky ha giocato la vecchia figura dello scontro di un Davide con un Golia. Comunque, l’uomo in divisa militare e quello in giacca e cravatta hanno giocato i loro ruoli.

Insomma, non pensiamo che la storia sia finita con lo scontro in diretta Zelensky-Trump, tutt’altro. Già i colloqui della prossima settimana a Riad la dicono lunga. Altri attori entreranno nelle trattative per la tregua e la pace, l’Europa sicuramente avrà un suo ruolo, e anche Erdogan sta sgomitando per rientrare nei giochi. Gli Stati Uniti da soli non possono far tutto, a meno che non stringano un sodalizio mortifero con la Russia, peraltro altamente improbabile, perché Trump perderebbe una marea di consensi in patria.

C’è piuttosto da notare che il capitale di avversione accumulato ai 4 punti cardinali dagli Stati Uniti sta in questo modo aumentando, rischiando di finire in farsa. È vero che Trump continua a far politica interna fuori dal territorio Usa, ma rischia alla lunga di lasciare una scia di macerie nelle relazioni internazionali tessute nei decenni, e gli Stati Uniti si ritroveranno isolati nella geopolitica mondiale.

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