Fellini e l’emozione assoluta

Federico Fellini, una personalità artistica tra le più ricche e complesse del nostro cinema, un regista che non si è mai ripetuto, anche se la sua cifra stilistica si è andata col tempo sempre più caratterizzando, decretandone la fama a livello mondiale. I suoi film hanno incantato, commosso, sconcertato le platee di tutto il mondo, sorprendendo sempre per novità e originalità. Le edizioni Laterza ci offrono la possibilità di conoscere più da vicino questo artista, ristampando l’intervista che il critico cinematografico Giovanni Grazzini ebbe modo di fargli alcuni anni addietro(1). Un’intervista nata inizialmente sull’esitazione di Fellini – Io non so mai cosa rispondere, perché non so chi è che stai interrogando -, ma che alla fine si rivela un documento eccezionale per conoscerlo. Una profonda amicizia lo legava a Grazzini, ed è questa che permise ai due di rapportarsi con onestà e trasparenza, lasciando che egli aprisse il suo cuore e la sua mente senza alcuna riserva. Sappiamo che Fellini cominciò la sua carriera come vignettista in alcune riviste fiorentine e poi al Marc’Aurelio a Roma, e questo spiega il perché certi suoi personaggi sembrano uscire dalle pagine di queste riviste. Si tratta di una benevola caricatura, di un umorismo sottile e mai velenoso ispirato spesso dalla comprensione dei limiti umani. Convinto che fosse stata proprio la scuola a sviluppare in lui questo modo di guardare le persone, disse: Quei professori, nonostante i loro urlacci, gli occhi lampeggianti dietro gli occhiali, gli insulti, i quaderni stracciati, le minacce urlate in un dialetto sconosciuto… nonostante questi atteggiamenti nevrotici, schizoidi, o forse anche per questo, erano proprio buffi, patetici, e mi facevano una gran simpatia. La comicità era dentro la sua visione del mondo, anche quando affrontava temi impegnativi e sofferti e provava una grande attrazione per gli attori comici, che considerava benefattori dell’umanità: Far ridere la gente mi è sempre sembrata la più privilegiata delle vocazioni, un po’ come quella dei santi. Molto sensibile alle problematiche del rapporto educativo, non esitò a porre in evidenza i limiti di certi metodi scolastici. Tuttavia volle attenuare il giudizio: Non è colpa di nessuno, fa parte della pigrizia mentale, della svogliatezza, dell’incapacità che in genere mettiamo nei problemi dell’educazione, la distrazione di fondo che nutriamo verso il mondo dell’infanzia, convinti come siamo che il bambino è tutto un errore al quale porre rimedio. Sposato felicemente con Giulietta Masina, non poté vivere l’esperienza della paternità, ma ciò non gli impedì di comprendere il mondo dei bambini: Se avessi un figlio cercherei innanzitutto di essere io stesso a imparare da lui. Di norma i genitori fanno il contrario; impongono al figlio le quattro frescacce che sanno e non gli domandano mai niente. Non ho mai visto un genitore curvarsi su un bambino per chiedergli che cosa fa, che cosa vuole, come vede il gatto, com’è la pioggia, che cosa ha sognato la notte e perché ha paura. Il primo film che lo rese famoso nel mondo fu La strada, un film coraggioso che racconta contrasti profondi, infelicità, nostalgie e presentimenti del trascorrere del tempo non riconducibili a problematiche sociali ed impegno politico. Per questo in Italia, in pieno clima neorealista, trovò ostilità in una certa critica che giudicò il film decadente e reazionario. In realtà La strada richiama l’interiorità dell’essere umano ed è un vero capolavoro, le cui radici sono proprio nelle problematiche dell’infanzia. Gelsomina è la donna bambina che non riesce a credere alla possibilità del male e la sua storia pesca in una zona profonda e oscura, costellata da sensi di colpa, timori, struggenti nostalgie per una moralità più compiuta, rimpianto per un’innocenza tradita. Gli americani, che ebbero modo di apprezzare i suoi film e premiarli, gli proposero più volte di realizzare un film su La divina commedia, mettendogli a disposizione ingenti mezzi. Ma Fellini fu sempre riluttante per tale operazione, convinto com’era che il cinema non doveva mutuare soggetti dalla letteratura: Un’opera d’arte nasce in una sua unica espressione; trovo mostruose, ridicole, aberranti queste trasposizioni. Le mie preferenze vanno in genere a soggetti originali scritti per il cinema. Io credo che il cinema non abbia bisogno di letteratura, ma ha bisogno soltanto di autori cinematografici, cioè di gente che si esprime attraverso i ritmi, le cadenze, che sono particolari del cinema. Attraverso tutti i suoi film volle testimoniare che la magia del creare, propria del cinema, non era per nulla inferiore alla creazione di altre opere d’arte: Il cinema è un modo divino di raccontare la vita, di far concorrenza al padreterno. Nessun altro mestiere consente di creare un mondo che assomiglia così da vicino a quello che conosci, ma anche agli altri sconosciuti, paralleli, concentrici… L’emozione assoluta, da brivido, da estasi, è quella che provo di fronte al teatro vuoto: uno spazio da riempire, un mondo da creare. Quello di cui, però, egli avvertiva grande responsabilità era di evitare l’approssimazione che è la secrezione più diretta dell’ignoranza e della stupidità… Sento la responsabilità di non ingannare, di non accontentarmi, di testimoniare, con un’applicazione rigorosa degli strumenti espressivi di cui dispongo, il pasticcio nel quale di volta in volta mi trovo perché solo con questa disposizione interiore la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che estetico. Il bello è anche buono. L’intelligenza è bontà, la bellezza è intelligenza: l’una e l’altra comportano una liberazione dal carcere culturale. Quando gli fu chiesto se c’era una bellezza che lo emozionava ancor di più delle bellezza artistica egli rispose: L’innocenza. Di fronte a un innocente mi arrendo subito, e mi giudico pesantemente . Fellini fu lontano dal mondo della politica anche se questo mondo cercò più volte di coinvolgerlo. Qualcuno gli fece anche pesare la sua scarsa partecipazione. Ma lui, con quel candore sornione che sempre lo contraddistingueva, disse: Non mi vanto di questa mia cronica estraneità alla politica che continuamente mi mette in una situazione di disagio… Forse il li- mite nel quale sono costretto tutt’oggi è quello di non aver mai respirato, nell’età della formazione, il vero significato della democrazia… Se bisogna poi riconoscere certi destini, mi pare di poter capire che un artista si muove in campi del tutto diversi, che sono a volte propri dell’immutabile, o quanto meno di una sfera meno soggetta a variazioni, a violente rivoluzioni, perché più vicina alla condizione dello spirito, della conoscenza, della rappresentazione dell’interno più che dell’esterno. Ma se la politica è amore per l’uomo, anzi l’amore più grande, nella misura in cui Fellini donò pienamente sé stesso come artista, lui ha fatto anche politica. Lo testimoniano, in certo modo, queste sue affermazioni sulla crisi del cinema: Qualcuno intelligentemente ha detto che la crisi del cinema consiste soprattutto nel fatto che il cinema ha esaurito tutte le storie possibili… e che noi oggi vogliamo dal cinema qualcosa di più, qualcosa che sta fra lo scientifico, il sociale, il religioso, il filosofico, insomma un cinema che sia veramente uno specchio molto profondo in cui non solo rifletterci così come siamo, ma come siamo stati, come saremo e forse, chissà, come avremmo dovuto essere… L’unica strada da battere per il nostro cinema è quella di fare film, film migliori, film più intelligenti, film più belli.

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