Felicità vo cercando
Recidivo. Dopo il fortunato esordio del 2003, il dipartimento di Economia politica dell’Università Bicocca di Milano ripropone un seminario internazione sul tema della felicità. Allora l’attenzione si focalizzò soprattutto sui cosiddetti paradossi della felicità, ed in particolare su quello scoperto dall’economista americano Richard Easterlin, che dimostrava come la crescita del reddito ad un certo punto porta ad una diminuzione della felicità: dopo una certa soglia la crescita del Pil rende più infelice un paese. Sapevamo intuitivamente che il benessere materiale non basta a renderci felici, ma che oltre una certa soglia fosse addirittura un ostacolo era una vera novità. Nel frattempo, e superando un certo scetticismo iniziale, in questi anni il tema ha cominciato ad entrare sempre più nel dibattito scientifico come dimostra l’ampia fioritura di studi economici su questo tema. A due anni di distanza, assodato che l’economia si debba occupare anche di felicità, il convegno internazionale svoltosi a Milano dal 16 al 18 giugno 2005, come appare dal titolo stesso – Capabilities and Happiness (happiness, come tutti sanno, significa felicità, mentre capabilities è molto più difficilmente traducibile con potenzialità) – ha approfondito due aspetti dello studio della felicità, alla ricerca da un lato delle condizioni oggettive per poterla sperimentare (le capabilities, appunto), dall’altro delle caratteristiche dell’esperienza stessa della felicità. Si sono alternati studi, riflessioni, idee e contributi che guardano alla felicità – personale e collettiva – come ad un fenomeno oggettivo e soggettivo, quasi a scoprirla come motivo che fonda sia la ricerca che la prassi delle discipline sociali che qui si sono incontrate. La ricerca della maggior felicità per il maggior numero di persone si trova infatti nelle radici della storia economica, nel significato dei suoi numeri e dei suoi conti: la ricchezza di cui le scienze economiche si sono occupate – dalla sua produzione alle stesse modalità di creazione -, altro non serve se non ad offrire a ciascuno un’op- portunità di felicità. Una ricchezza che peraltro ha molte forme, materiali e immateriali, che include anche variabili apparentemente poco economiche dalla possibilità di partecipazione democratica alla qualità di vita complessiva allo sviluppo del capitale umano… Variabili che, guarda caso, hanno tutte in comune una componente relazionale molto forte. Già Aristotele aveva identificato nell’amicizia i fondamenti di una possibile eudemonia, di una felicità; e anche oggi, tra le componenti della ricchezza prodotta dalle aziende e distribuita ai lavoratori, si considerano ormai anche il clima aziendale e la bontà delle relazioni tra i colleghi. A questo punto sembra possibile sottolineare uno dei due termini, e approfondirne gli aspetti che ciascuno sottolinea. Certamente nuovo e articolato è il tema delle capabilities, che nella definizione di felicità sottolinea la dimensione della fioritura umana, sintetizzandone le condizioni e le possibilità concrete. Portato all’attenzione dall’economista indiano e premio Nobel Amartya Sen, questo è un approccio che si presta e richiede integrazione e approfondimenti in discipline e contesti diversi, perché pone l’accento su quella preziosa e delicata risorsa che è il capitale umano, e il suo diritto ad una piena realizzazione. Ecco che il confronto assume allora una prospettiva nuova, che pur mantenendo la dovuta attenzione ai livelli di produzione e reddito, si apre alla natura più profonda dell’uomo, nella sua relazione con sé stesso e con gli altri. L’aspetto dell’happiness, invece, guarda più specificamente al vissuto, all’esperienza che porta alla felicità, alle caratteristiche di tale esperienza piuttosto che al percorso e alle condizioni che l’hanno sostenuta, analizzando le modalità per garantirla e ripeterla. La felicità viene allora intesa e rilevata, mediante interviste e scale numeriche, sotto forma di benessere, soddisfazione, qualità della vita… È certamente un approccio più psicologico, anche se è proprio l’interessante contaminazione fra le discipline e gli studi che sta rinvigorendo l’economia del benessere, e che riporta ad una responsabilità più diffusa (e non solo politica) la garanzia dello star bene delle persone e delle nazioni. Forse è questo uno dei successi più significativi del convegno, che contiene la sfida per gli sviluppi futuri: la possibilità di incontro e dialogo tra discipline apparentemente lontane per metodi e strumenti, un confronto arricchente tra teoria e prassi per costruire e sperimentare contesti economici e sociali che portano alla felicità. D’altro canto, già in passato l’incontro fra l’economia e la matematica è stato molto fruttuoso. Così può essere anche oggi fra l’economia e la psicologia. Il contenitore organizzativo – ideato e sostenuto in regia dal prof. Pier Luigi Porta insieme al prof. Luigino Bruni, del dipartimento di Economia politica dell’Università Bicocca – si è articolato tra momenti plenari e molteplici sessioni di approfondimento: cinque i panel di lavoro, cinquanta le sessioni parallele, quasi cento le relazioni. A premi Nobel e giovani studiosi di tutto il mondo è stata offerta l’occasione di presentare e approfondire diversi aspetti specifici sul tema della felicità. E non sono mancati i momenti artistici, piccoli brani di felicità: un concerto per pianoforte e una visita ad una installazione di arte contemporanea. E ora bisogna continuare: l’orizzonte del prossimo incontro internazionale viene collocato nel 2007, tanto che si va prefigurando per Milano una vera e propria Biennale della felicità. E se ancora più interdisciplinare e varia potrà essere la prossima edizione di questo appuntamento, è difficile immaginare una più ricca condivisione di idee ed elaborazioni, una più fitta costruzione di relazioni e rapporti personali e di studio che hanno caratterizzato questi tre giorni in Bicocca. Per tutti i partecipanti è stata – come molti hanno apertamente dichiarato nell’incontro finale – un’ indubbia, personale ma oggettiva, esperienza di felicità. PROTAGONISTI Il convegno di Milano Capabilities and Happiness ha coinvolto studiosi ed esperti di fama mondiale. I lavori introdotti dal prof. Pier Luigi Porta, direttore del dipartimento di Economia politica della Bicocca e dal dr. Flavio Comim del Capability and Sustainability Centre della Università di Cambridge, si sono avviati con la relazione di apertura del prof. Stefano Zamagni, dell’Università di Bologna, che ha messo l’accento sulle forti motivazioni per una sintesi delle linee di ricerca. Il prof. Robert Sugden, della University of East Anglia a Norwich ha proposto invece una maggior specializzazione negli studi e nelle ricerche. Altri relatori che hanno portato contributi significativi , da molteplici prospettive, sono Carol Graham (Brookings), Richard Ryan (Rochester), Carol Ryff (Wisconsin-Madison), Edward Deci (Rochester). Non è mancato il contributo di Richard Easterlin che da pioniere degli studi su economia e felicità ha indicato nuove linee di sviluppo possibili nella interazione tra economia e psicologia. Momento clou del convegno è stata la relazione di Amartya Sen, della Harvard University e Nobel 1998 per l’Economia, che ha indicato nuove prospettive nel rapporto tra teorie della felicità e l’impostazione per capabilities, segnalando in particolare la necessità di bilanciare gli aspetti oggettivi con quelli soggettivi. Un spazio particolare è stato dedicato ad panel meeting, presieduto dal prof. Ed Diener, della University of Illinois, sul tema delle prospettive concrete, alla ricerca di unità di misura diverse o alternative al Pil per il benessere collettivo. E proprio Diener ha presentato una stimolante relazione sulle motivazioni intrinseche nei comportamenti dei soggetti all’interno del mercato: un altro passo verso il superamento di quella razionalità economica classica, che vede l’azione economica legata a soli comportamenti auto-interessati.