Felice di essere madre

Millycent, assistente sociale al progetto di sostegno a distanza di AFN a Mathare (Nairobi), da poco ha dato alla luce una bambina, sfidando i rischi dell’epidemia da coronavirus e le condizioni della baraccopoli

La maternità è un’esperienza unica e universale: ogni madre del mondo ama con lo stesso cuore. Lo stesso coraggio, speranza per crescere e alimentare il suo piccolo; le stesse braccia con cui lo sostiene. Occhi con cui gli sorride. Ma ci sono maternità più speciali delle altre perché il contesto a cui si aprono richiede ulteriori risorse.

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Millycent Ong’Wenyha vive a Mathare, grande baraccopoli di Nairobi, con 500 mila persone. È assistente sociale al progetto Magnificat che, attraverso il programma di sostegno a distanza di AFN, garantisce ai bambini dello slum diverse possibilità di cui lei stessa da piccola ha beneficiato: la madre era alcolizzata e il padre non aveva un lavoro stabile, ma attraverso il progetto è riuscita a studiare. Raggiunto il diploma, Millycent, ha sentito che non poteva lasciare Mathare, ma doveva restare lì e aiutare a crescere i bambini. Insieme ad altre collaboratrici, accoglie tutte le mattine bimbi dai 3 ai 5 anni nella cappella di Sant’Anna, che durante il giorno si trasforma in un asilo. Con giochi, canzoni, attività e tanto amore, li vede progredire e mettere le basi del loro futuro. È certa dell’efficacia di questo lavoro, avendolo sperimentato lei stessa, e questa fiducia è ciò che gli dà nuova forza ogni giorno per continuare ad affrontare le sfide della baraccopoli dove vive con la sua famiglia. Da quasi un mese ha visto nascere la quarta figlia, Lorenza Nizana, venuta alla luce proprio nel momento in cui il rischio dell’epidemia da coronavirus è diventato incombente.

«Improvvisamente Covid-19 è diventata la notizia di punta del Paese – ci racconta Millycent –. Rigorose misure governative hanno imposto l’interruzione dell’attività didattica: tutti i bambini non hanno più potuto venire a scuola. Mi sono sentita totalmente vulnerabile. Come loro. Bisognosi di tutto. Nel giro di due settimane la situazione è peggiorata. I genitori hanno perso il lavoro, essendo occupati per la maggior parte come aiutante domestico o come operaio edile occasionale. Ogni giorno mi arrivava una loro chiamata di aiuto finché mi sono ammalata. Pensando a tutti loro, non potevo arrendermi, dovevo essere forte. Grazie agli aiuti ricevuti, abbiamo potuto distribuire a ogni famiglia una mascherina e del cibo. La situazione peggiorava, ma continuavo a incoraggiare i bambini ad essere positivi nei loro obiettivi e nelle aspettative. È iniziato il coprifuoco. Un inferno. Il trasporto è diventato difficile e costoso, il prezzo del cibo è aumentato. Le strutture sanitarie sono diventate proibitive per il costo, la paura del contagio e della quarantena. Le madri temevano di perdere i loro figli. Ma la situazione, nonostante tutto, ha avuto un impatto positivo sulla pratica dell’igiene, sulla crescita spirituale delle famiglie, confidando nel dono dell’Universo».

Secondo i dati ufficiali dell’Oms, il Kenya è Paese prioritario per l’attuazione di misure di prevenzione al Covid-19 dal momento che solo il 62% della popolazione ha accesso all’acqua pulita e il 31% a servizi igienico-sanitari. Il numero dei posti letto è molto limitato e il rapporto tra il personale sanitario e la popolazione è di 1 ogni 100 mila abitanti. Le persone più a rischio sono proprio le famiglie delle baraccopoli che convivono numerose sotto lo stesso tetto, nell’assenza di servizi igienici o condivisi con altre famiglie.

Il 12 aprile, Millycent si reca all’ospedale per un controllo perché ha difficoltà respiratorie e viene trattenuta per accertamenti. Le viene fatta un’ecografia per verificare le condizioni del feto. La situazione è critica. Millycent viene subito ricoverata. Si avvia il processo del parto ma «non riuscivo a rispondere a nessuno sforzo – dice Millycent –, alla fine mi è rimasta una sola possibilità: affrontare il parto cesareo. Mi sono sentita devastata perché nessuna madre della mia famiglia lo aveva subito né io per far nascere gli altri miei figli. Ma ho scelto di essere positiva e pensare piuttosto di salvare la vita della creatura. È stata un’esperienza terribile, ma ho ringraziato Dio per tutto. All’una di notte sono stata benedetta con il dono di una bambina. Nonostante i dolori, ho deciso di dimenticare pensieri negativi. Ho scelto di essere felice, gioiosa, emotivamente libera da ciò che avevo vissuto. Dopotutto era lunedì di Pasquetta, momento propizio per rallegrarsi col Signore Risorto. Ora mi sento felice di essere madre, forte in salute e soddisfatta».

C’è un proverbio africano che dice: «Il sole non dovrebbe mai sorgere due volte su una donna durante il travaglio», infatti il parto spesso dura a lungo e può avere un esito fatale per la donna e per il bambino in molti Paesi in via di sviluppo. Eppure, ovunque nel mondo il coraggio di amare e donare vita è sempre il più forte, come dice Millycent, «confidando nel dono dell’Universo».

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