Federico De Rosa, diversamente abile cioè diversamente felice

Una straordinaria testimonianza diretta sul percorso di Federico De Rosa, “ambasciatore” dell’autismo e della disabilità, che aiuta i neurotipici a capovolgere la prospettiva per considerare la disabilità, a chi la vive in prima persona o ai familiari, come opportunità
Fderico De Rosa , al centro, foto dalla sua pagina Facebook

«Mol-to-più-intelligente-di-quello-che-pensi», scandì puntandoci contro un minuscolo indice Federico, che a tre anni e mezzo diceva si e no dieci parole.

«Oddio sto sognando», pensai. Una settimana prima, parlando fra adulti, mentre lui di spalle sembrava perso in una bolla, ci eravamo interrogati sulla capacità di comprensione della realtà di questo figlio speciale.

Sotto una spinta emotiva frutto di grande sofferenza, aveva formulato quella frase complessa, per dirci in realtà: “Io ci sono”.

Cosciente fin da piccolissimo di non riuscire a comunicare a parole o a gesti, interagire con la realtà, giocare, comportarsi in maniera adeguata ai contesti, è riuscito a confessarci il suo disagio attraverso la scrittura al pc, in un percorso avviato a sette anni grazie ad un team straordinario di insegnanti di scuola pubblica – che lui stesso su queste pagine ha definito “scintille dell’amore di Dio” (Donatella, maestra di sostegno, Ermanno, Onia) – dapprima scrivendo paroline e poi frasi via via più complesse, per comunicare emozioni e pensieri, prigionieri del suo silenzio.

Il suo primo libro Quello che non ho mai detto riporta quanto scritto a 12 anni: «Sono triste (…) perché piango la porta lontana (…) la porta per entrare nel mondo dei sani».

Ma già l’anno dopo, nello svolgere il tema “La mia vita tra vent’anni”, appare più fiducioso: «Tra vent’anni (…) andrò per il mondo a vedere donne incinte per capire se i loro bimbi sapranno parlare e per curare l’autismo. Io giocherò coi loro bimbi per aiutarli a crescere e a imparare a parlare (…) Quando tutti avranno sospeso terapie e staranno bene, allora sarei felice. E poi organizzerò una grande festa per la fine dell’autismo (…) Forte sospeso guarirò e parlerò».

Fra condizionale (il tempo dell’ipotesi) e futuro (il tempo della certezza e della fiducia), nel passaggio da “soggetto passivo” a “soggetto attivo” del suo lungo (e permanente) percorso riabilitativo, il sogno si realizza: con circa 3.300 amici che gli chiedono pareri su Facebook, uno sportello di ascolto sull’autismo in parrocchia, una rubrica sulla rivista Vocazioni della Conferenza Episcopale Italiana, recandosi col suo pc presso università, scuole, istituzioni, diocesi, associazioni e famiglie che convivono con l’autismo,  Federico porta un messaggio di speranza e di amore, quell’Amore che – come lui scrive – “risana”.

Anche se, da solo, ovviamente non basta: essenziali per un’evoluzione positiva si sono rivelati la diagnosi precoce, un intervento terapeutico integrato multidisciplinare e “tagliato su misura” grazie al lavoro in rete con bravi professionisti  (neuropsichiatri infantili, terapisti, insegnanti, operatori).

Nell’approccio di Federico, nessuno è padrone della propria vita, capace di far tutto e adeguato a tutte le situazioni: siamo tutti “disabili”, in certo modo, ciascuno con un proprio percorso e un proprio modo di arrivare alla felicità. E se io sono diversamente abile, sarò diversamente felice; tutti diversi, ciascuno unico, nessuno escluso.

Nel difficile cammino verso la società dell’inclusione, da “ambasciatore” dell’autismo e della disabilità, Federico aiuta noi neurotipici (nel suo linguaggio “normali” non esiste, chi definisce cos’è la normalità?) a capovolgere la prospettiva, provando a far considerare la disabilità, a chi la vive in prima persona o ai familiari, non più come disgrazia ma come opportunità.

E prova ad “alfabetizzarci” a questo mondo speciale, descrivendo con sistematicità dal di dentro il suo autismo e il funzionamento della sua mente, col suo terzo libro, Una mente diversa – Raccontare l’autismo e scacciare i suoi fantasmi ( San Paolo, maggio 2020), con il competente contributo di Flavia Capozzi, sua neuropsichiatra storica,  che ad ogni capitolo da lui scritto fa seguire un commento specialistico, attingendo all’esperienza clinica presso il Centro Giovanni Bollea del Policlinico Umberto I di Roma.

Con sforzo Federico condivide quanto vive, mostrandosi e mandando un messaggio forte, convinto tuttavia di voler “prestare la propria umanità” ad un Dio (da lui definito autistico, perché spesso non ci risponde) che sogna la trasformazione del mondo, convinto di voler dare la propria testimonianza perché la società cambi, migliori, divenga «più accogliente perché più informata». Eh già, perché, come lui scrive, «c’è un pezzetto di cielo che ci spetta già da qui».

 

Federico De Rosa ha finora pubblicato i seguenti libri

  • Quello che non ho mai detto – Io, il mio autismo e ciò in cui credo, Edizioni San Paolo, settembre 2014 (tradotto in tedesco nel luglio 2015 da Neue Stadt – Città Nuova editrice tedesca, per Germania, Austria e Svizzera tedesca; in portoghese per il Brasile nel luglio 2016 dalla casa editrice Paolinas e in sloveno nel dicembre 2017 dalla casa editrice Novi Stat). In Italia il libro ha venduto 9.960 copie tra versione cartacea ed e-book
  • L’isola di Noi – Guida al paese dell’autismo, Edizioni San Paolo, ottobre 2016 (1.900 copie vendute in Italia)
  • Una mente diversa – Raccontare l’autismo e scacciare i suoi fantasmi, Edizioni San Paolo, maggio 2020.
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