Fede, laicità e carismi
Carismi e laicità: due parole per il nucleo di una riflessione. L’inizio di un percorso dalla doppia prospettiva e una sfida che, come frutto dell’amore condiviso, vale il prezioso equilibrio nell’instabile società contemporanea
Nella cornice dei nostri tempi il rapporto religiosi e laici, credenti e non, suggerisce un percorso di riflessione che può svilupparsi lungo due vie: quella propriamente ecclesiale e quella culturale che, nel contesto odierno, è caratterizzata da una mentalità laicista che nega il trascendente. Interessante a questo riguardo sono i colloqui tra intellettuali credenti e non credenti avvenuti nel “Cortile dei gentili”, uno spazio nuovo di apertura e di confronto, voluto da Benedetto XVI e inaugurato il 24-25 marzo a Parigi.
I laici nella Chiesa
Uno sguardo sul passato immediatamente rivela che attorno o all’interno di ordini o di congregazioni religiose è constatabile la presenza di laici che, pur mantenendo il proprio stato di vita, vivono l’appartenenza ad una realtà carismatica o ne condividono la spiritualità . Si pensi al movimento monastico e all’influsso positivo che ha esercitato sui gruppi di cristiani che gravitavano intorno ai monasteri; ai terz’ordini secolari che sono andati incontro al desiderio di coloro che, pur non abbracciando la vita religiosa, volevano vivere seriamente il loro essere cristiani; alle confraternite, alle associazioni laicali, ai sodalizi che man mano sono sorti nella storia della Chiesa.
Nel XX secolo, quando con il Concilio Vaticano II viene proclamata la chiamata universale alla santità di tutti i battezzati, e Paolo VI, nell’introduzione al Motu proprio Sanctitas clarios del 19 marzo 1969, invita tutti gli uomini di ogni condizione alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità, viene sottolineata la piena dignità del laico chiamato ad investire tutta la sua vita “a lode e gloria di Cristo”. Il quotidiano, permeato dalla fede, diventa per sempre il luogo dell’incontro con Dio.
Le associazioni e i movimenti laicali sorti nel ‘900 s’inseriscono in questa prospettiva ed esprimono con i loro carismi una Chiesa, popolo di Dio, dove tutte le vocazioni sono contemplate e i laici rappresentano un piano inclinato verso la realtà civile e laica. Contribuendo all’animazione cristiana e all’umanizzazione di una società plurale, dove s’intersecano più messaggi, linguaggi culturali e spinte ideologiche diverse, essi s’impegnano a tradurre nella vita quotidiana la logica del Vangelo in tutte le sue conseguenze, compreso l’impegno politico e sociale.
Questa consapevolezza ha portato a riflettere sul significato che la vita religiosa ha nella Chiesa e nell’umanità oggi e il suo rapporto con il mondo laicale. Come condividere reciprocamente nella comunione le ricchezze carismatiche e l’impegno del cristiano nel mondo?
La forza dei carismi
Leggendo la storia dei carismi sorprende l’esistenza e l’impegno appassionato di molti uomini e donne che, tra istanze e bisogni, vuoti del contesto sociale, hanno testimoniano il volto caritatevole della Chiesa. Essi con la genialità e la creatività dello spirito hanno generano opere perdurate nel tempo, fungendo spesso da base per altre istituzioni civili e sociali.
Proprio per la loro scelta totalitaria, per il loro impegno a favore dell’uomo più povero, più emarginato, per la loro prossimità alla gente, i religiosi, se ancor oggi generalmente suscitano simpatia, o per lo meno sono riconosciuti anche da persone non credenti, per l’incidenza che i loro carismi hanno sul sociale o per la semplice, amorevole e disinteressata dedizione che manifestano verso gli altri.
Significativi sono due esempi che descrivono l’arrendersi del potere laicista di fronte all’evidenza della realtà. Nel 1808, a Verona, Maddalena di Canossa, mentre si procede alla soppressione di tutte le istituzioni religiose della città, ottiene dalle autorità locali, grazie alla mediazione di Napoleone, una casa di accoglienza per ragazze povere e disagiate.
Giovanni Bosco, in un contesto politico apertamente ostile alla Chiesa, fa approvare da Rattazzi, che aveva decretato nel 1855 la soppressione degli ordini religiosi, la sua congregazione, combinando articoli della regola salesiana con le norme di comportamento contemplate nel codice civile dello Stato, leggi civili che regolano le diverse associazioni di mutuo soccorso.
In questi casi il potere anticlericale non riesce a dire no alla santità e all’umanità di due personalità innamorate di Dio e dell’uomo. Un altro esempio, più vicino al nostro tempo e più ordinario, è quello che Lucia Bellaspiga riporta nel suo libro Dio che non esisti ti prego, dove scrive la commovente testimonianza di un incontro avvenuto nel 1971 tra una religiosa infermiera, Beniamina, e Dino Buzzati. La religiosa ha accompagnato lo scrittore e giornalista durante l’ultimo periodo della sua malattia.
Lei stessa ricorda: Buzzati, non credente, “era incuriosito da tutti gli aspetti della mia vita… le regole, come facevamo a vivere tutte insieme, se andassimo sempre d’accordo… Buzzati l’aspettava quotidianamente in un appuntamento quotidiano che si fece via via più importante. Che cosa cercava dalla giovane suora ? Diceva che (in essa) c’era una serenità bellissima che voleva carpire. Invidiava la sua fede e glielo confessava apertamente. Il desiderio di Dio rimase sempre il suo pensiero costante fino al giorno in cui si spinse oltre e chiese alla suora di pregare per lui: ‘Si ricordi anche di me’ – mi disse – ‘ed io lo rassicurai: Fa parte della mia vita, pregare per lei, non solo curarla”. A concludere la testimonianza è la moglie, Almerina: “L’ultima sera la suora era entrata, dolce e più gentile del solito, perché sapeva che era alla fine. Io ero agitata , avevo paura che qualcuno potesse indurlo a scelte non sue , invece Dino è stato bravissimo e ha detto: ‘Si avvicini, venga pure, suor Beniamina, tanto so perché è venuta. Ma l’unica cosa che io posso fare è baciare il suo Gesù’. E preso tra le mani il crocefisso che pendeva dal collo della suora, lo portò alle labbra. Fu l’ultimo bacio della sua vita”[1].
Comunione, la sfida attuale
Oggi la vita religiosa di fronte alle sfide della post-modernità e della globalizzazione sta sperimentando una certa condizione di marginalità ed è provocata a ripensare ed approfondire il suo significato. È un momento delicato di transizione, ma questa condizione di marginalità può essere anche l’opportunità per riascoltare la chiamata di Dio, per ritornare all’essenza della sua vocazione e reinventare con la fantasia della carità nuove risposte alle sfide di oggi, pur continuando ad essere segno della trascendenza e della profezia.
In passato i carismi sono nati e si sono espressi con modalità rispondenti ai bisogni del tempo, ma oggi a causa di molteplici fattori, come il venir meno di vocazioni e la conseguente laicizzazione delle opere, lo sviluppo di strutture e di servizi pubblici socio-educativi, o l’emergere di nuove povertà che chiedono aggiornate forme di risposta, emerge la consapevolezza che non si può camminare e rispondere da soli. La comunione tra carismi antichi e nuovi, tra religiosi e laici nella Chiesa è una risposta alla sfida odierna. Quali sono dunque le frontiere che occorre superare per rispondere oggi alla chiamata di Dio? Come camminare umilmente, insieme, religiosi-laici per contribuire ad umanizzare una società sempre più frammentata, per vivere il di più del Vangelo?
Judith King, laica, nel suo intervento all’assemblea generale della Unione delle Superiore Generali (USG) del 2010, tracciando un quadro della realtà consacrata in Europa, suggeriva di spogliarsi di ciò che non è essenziale, di ritornare alle radici del Vangelo e della missione di Gesù, di generare comunità che testimoniano la vita, la guarigione, la verità. La vita comune è profezia di una possibilità di comunione per tutti, che può diventare un messaggio per tutta la Chiesa e per il mondo. In un passaggio diceva: “Data la rete globale e locale di moltissime congregazioni religiose, fondate in Europa, voi avete una straordinaria opportunità di modellare il tipo di inclusività che viene richiesto a coloro che ritengono che tutti siano uguali davanti a Dio. Questo modellare, sarà, esso stesso, il più potente commento sociale per qualsiasi pratica discriminatoria ed escludente. Noi laici sentiamo la necessità crescente non solo di sapere che una tale inclusività è teoricamente possibile, ma che essa si sta verificando attualmente in modo credibile e che sarebbe possibile per noi farne parte”.
Esiste poi una fame di luoghi e di spazi in cui si può fare l’esperienza di Dio e le comunità religiose possono rispondere con l’accoglienza e l’ospitalità a questa esigenza originaria dell’uomo. La vita consacrata quindi può trarre energia dalla condivisione del Vangelo incarnato e allo stesso tempo nella reciprocità può arricchirsi della novità e della concretezza che i laici testimoniano attraverso il loro impegno e il loro coraggio nella vita quotidiana, familiare.
Anche coloro che non credono rappresentano una sfida ai consacrati, perché richiamano a testimoniare l’essenziale della vita religiosa. Il primato di Dio, la comunione, l’ospitalità, l’amore preferenziale ai poveri continuano ad essere un annuncio che affascina e interpella tutti perché umanizza e dà senso a ciò che l’uomo vive.
Quale profezia?
Il contesto sociale e culturale in cui viviamo ci presenta un mondo sempre più frammentato, nichilista, smarrito, con crescenti squilibri fra nord e sud, fenomeni immigratori che accelerano trasformazioni e mutamenti culturali e sociali. Di fronte a questi scenari ancora una volta emerge la domanda: qual è la risposta che l’umanità di oggi più o meno consapevolmente attende? Come vivere la dimensione profetica come religiosi nel popolo di Dio?
Interessanti sono a questo punto alcuni passaggi di un intervento di Fabrice Hadjadj, “Modernità contro modernismo, ovvero la grazia del nostro tempo” (Milano, 3 marzo 2011) nel quale dice, in modo molto chiaro e suggestivo: “Il cristiano sa che non c’è stata alcuna età dell’oro. Sa che il tempo in cui il Verbo si è fatto carne ed è sceso sulla terra è stato anche il tempo in cui l’abbiamo crocefisso . Sa infine che l’epoca in cui vive è per lui la migliore, perché è quella in cui può rendere testimonianza. Ora, quello che c’è di più meraviglioso in questo mondo senza Gesù, è che ci è vietato accontentarci di qualche buona parola e qualche piccola devozione, come ai tempi della cristianità: questo mondo esige da parte nostra una testimonianza completa di santità, una testimonianza di amore a morte, una verità che invade anima e corpo. Questo mondo ci chiede di essere altri Cristi per il nostro prossimo. La modernità è nostra alleata e la post-modernità non è un ostacolo. Più il mondo è senza Gesù e più questo è il mondo in cui si deve realizzare l’Incarnazione”.
Chiara Lubich indica, in prospettiva trinitaria, una via per realizzare l’incarnazione di Gesù oggi: una via collettiva e personale insieme che conduce all’unione con Dio mediante l’unità con gli altri: “Dio che è in me, che ha plasmato la mia anima, che vi riposa in Trinità, è anche nel cuore dei fratelli. Non basta quindi che io Lo ami solo in me. Se così faccio il mio amore ha ancora qualcosa di personale e di tendenzialmente egoistico, per la spiritualità che sono chiamata a vivere: amo Dio in me e non Dio in Dio, mentre questa è la perfezione: Dio in Dio. Dunque la mia cella, come dicono le anime intime a Dio, e, come noi diciamo, il mio Cielo, è in me e come in me nell’anima dei fratelli. E come Lo amo in me, raccogliendomi in esso – quando sono sola –, Lo amo nel fratello quando egli è presso di me.
Allora non amo solo il silenzio, ma anche la parola, la comunicazione cioè del Dio in me col Dio nel fratello. E se i due Cieli si incontrano ivi è un’unica Trinità, ove i due stanno come Padre e Figlio e tra essi è lo Spirito Santo.
Occorre sì sempre raccogliersi anche in presenza del fratello, ma non sfuggendo la creatura, bensì raccogliendola nel proprio Cielo e raccogliendo sé nel suo Cielo.
E, giacché questa Trinità è in corpi umani, ivi è Gesù: l’Uomo-Dio.
E fra i due è l’unità ove si è uno ma non si è soli. E qui è il miracolo della Trinità e la bellezza di Dio che non è solo perché è Amore” [2].
Il dinamismo dell’amore trinitario spinge coloro che lo vivono ad uscire sempre da se stessi per andare verso Dio presente in ogni uomo, stabilendo rapporti che portano la presenza del Risorto nell’umanità, a edificare quel castello “esteriore”, immagine teresiana completata da Chiara, dove “Sua Maestà” è presente in mezzo agli uomini uniti nel suo nome e dove “la pluralità delle persone che si santificano incrementa la santità di ognuno e la santità di ciascuno arricchisce quella di tutti”[3].
Costruire ponti
Dunque, da una parte superare la paura paralizzante di perdere la propria identità, il proprio carisma ed essere disponibili a condividere le proprie ricchezze con tutti. “L’identità non chiude, ma è capace di accendere altri fuochi”[4] “Al giorno d’oggi molti riconoscono di non appartenere ad alcuna religione, ma desiderano un mondo nuovo e più libero, più giusto e più solidale, più pacifico e più felice. Nel rivolgermi a voi, prendo in considerazione tutto ciò che avete da dirvi: voi non credenti, volete interpellare i credenti, esigendo da loro, in particolare, la testimonianza di una vita che sia coerente con ciò che essi professano e rifiutando qualsiasi deviazione della religione che la renda disumana. Voi credenti, volete dire ai vostri amici che questo tesoro racchiuso in voi merita una condivisione, un interrogativo, una riflessione. ; dall’altra aprirsi al dialogo con la cultura laica, così come invita Benedetto XVI nel suo messaggio rivolto a giovani raccoltisi sul sagrato di Notre Dame a Parigi, il 25 marzo, in occasione dell’avvenimento dal titolo “Sul sagrato dello Sconosciuto:
La questione di Dio non è un pericolo per la società, essa non mette in pericolo la vita umana! La questione di Dio non deve essere assente dai grandi interrogativi del nostro tempo. Cari amici siete chiamati a costruire dei ponti tra voi. Sappiate cogliere l’opportunità che vi si presenta per trovare, nel profondo delle vostre coscienze, in una riflessione solida e ragionata, le vie di un dialogo precursore e profondo. Avete tanto da dirvi gli uni agli altri. Non chiudete la vostra coscienza di fronte alle sfide e ai problemi che avete davanti”.
Di fronte a queste sfide ritorna l’invito insistente e affascinante di costruire nella comunione luoghi di dialogo, di fraternità dove, come dice C. Lubich, facendo riferimento simbolicamente all’immagine del mosaico: “Ognuno di noi è come una piastrella viva, che comprende, capisce il proprio posto, conosce quello degli altri, ed è cosciente anche del significato di se stessa nell’insieme. Anzi, vede con evidenza che essa ha valore soltanto nell’insieme. Nello stesso tempo però le è chiaro che, se mancasse, il mosaico risulterebbe incompleto”[5].
Il mondo ha bisogno di Gesù, l’invocazione: “Vogliamo vedere Gesù”, consapevolmente o no, è presente nell’umanità che ha bisogno di incontrare un cielo in terra. Questo può avverarsi oggi attraverso l’unità di tutti “con Dio e fra loro: la presenza di Gesù in ogni rapporto con gli altri, oltre che nell’anima di ognuno”[6].Una presenza che umanizza, che crea luoghi di pace, che dà speranza. La “comunione” a tutti i livelli e con tutti gli uomini “è veramente la buona novella che i consacrati possono testimoniare, il rimedio donatoci dal Signore contro la solitudine che oggi minaccia tutti, il dono prezioso che ci fa sentire accolti e amati in Dio, nell’unità del suo Popolo radunato nel nome della Trinità”[7].
[1] L. Bellaspiga, Dio che non esisti ti prego, Ancora, Milano 2006, p. 208.
[2] C. Lubich, La dottrina spirituale,Città Nuova, Roma 2006, pp. 74-75.
[3] Ibid., p. 95.
[4] T. Català, Attraversare le frontiere in compagnia di Gesù di Nazareth, Roma, 11 marzo 2010.
[5] C. Lubich, Santità di popolo, cit., p. 68.
[6] Id., La dottrina spirituale,cit., p. 157.
[7] Benedetto XVI, Il dono della “Comunione”, udienza generale (29 marzo 2006).