Fede e musica in dialogo

Interessante incontro nella basilica dell'Aracoeli con il cardinale Ravasi e il maestro Riccardo Muti
aracoeli

La basilica romana dell’Aracoeli non è tra le più visitate della città. Peccato, perché storia ed arte hanno firmato capolavori grandi e piccoli: dagli affreschi del Pintoricchio a quelli appena riscoperti del Cavallini, dai sepolcri dei primi seguaci di san Francesco alle statue di pontefici come Leone X e Gregorio XIII. È la chiesa dai mille gradini in marmo, tratti dal Colosseo, ed e è la chiesa dove nel ‘300 Cola di Rienzo tenne i suoi appassionati discorsi come “tribuno del popolo”.
 
Deve aver avuto in mente questi e altri pensieri Riccardo Muti, mentre si svolgeva l’incontro della serie “Cortile dei gentili” tra fede e musica col cardinale Ravasi.
 
Inevitabile parlare di Verdi di cui oggi dirige all’Opera l’ultima recita di Attila, e del Verdi religioso. Credente, agnostico, mangiapreti? Muti vola alto: «Quasi tutte le opere di Verdi – dice- finiscono con uno sguardo rivolto al cielo». Parla del finale del Requiem, sospeso nel dubbio, come pure quello del Te Deum, recentemente eseguito davanti al papa. Ma il dubbio non fa forse parte del cammino di fede? E qui Muti, ricordando l’infanzia a Molfetta, parla di Tonino Bello, del suo primo concerto come violinista di otto anni nel Seminario cittadino, e fra le righe ricorda anche il dubbio di Cristo in croce. Lui, Muti, che si definisce non un “credente elementare”, ma certo uno sicuro che alla fine della vita non c’è affatto il nulla. E soggiunge di meravigliarsi di colleghi direttori che si definiscono atei: come fanno poi ad affrontare le domande che il Requiem verdiano propone? Lo intervalla con eruditi interventi il cardinale Ravasi, ed il discorso passa alla musica in chiesa, che oggi- deplora Muti – non porta a quel “rapimento” che dovrebbe portare. Il cardinale auspica – ed è un invito indiretto – che nei seminari i futuri sacerdoti vengano formati anche al gusto musicale per la liturgia. Certo, oggi servono musicisti di livello (fra gli ultimi, c’è stato anche Perosi, soggiunge Muti).
 
Attualmente, la musica classica contemporanea è distante dalla gente, perché il nostro corpo ancora “respira tonalmente”, dice il maestro. Quindi si aspetta, aggiunge Ravasi, un nuovo grande compositore, ma anche musicisti che «sappiamo vivere il dualismo della liturgia, che è mistero che si fa presente e rappresentazione partecipata di tutti».
 
Speriamo, conclude il cardinale, che non si avveri per noi quanto diceva Cassiodoro, il grande maestro antico: «Se noi continueremo a commettere ingiustizie, Dio ci lascerà senza la musica. Che vuol dire anche senza la Parola, perché parola e musica sono indicibilmente unite. Come il silenzio, pensato anche dai compositori – come Mozart – alla fine di un loro brano, come “musica”».

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