Il fattore umano e il caso Ryanair

La vicenda Ryanair ha scosso i cieli d’Europa (e anche la terra). Dati certi non ce ne sono: ma gli utenti si sono accorti che migliaia di voli sono stati annullati o riprogrammati per una questione di ferie non godute e di mancanze di piloti

La vicenda Ryanair ha scosso i cieli d’Europa (e anche la terra). Dati certi non ce ne sono: ma gli utenti si sono accorti che migliaia di voli sono stati annullati o riprogrammati per una questione di ferie non godute e di mancanze di piloti. Il Ceo della compagnia aerea irlandese, Michael O’Leary – «Ryanair non è a corto di piloti» –, smentisce che vi siano stati più di cento abbandoni di piloti, ma la sola Norwegian, temuto concorrente nel mercato dei low cost che sta aprendo anche rotte per l’America del Nord, afferma di averne assunti solo quest’anno 140 provenienti proprio dalla Ryanair. Sapendo che negli ultimi 15 mesi il mercato aereo ha conosciuto un forte incremento, e che quindi probabilmente altre centinaia di piloti stanno migrando verso altre compagnie, si capisce la vastità del fenomeno, dettato semplicemente da condizioni di lavoro migliori rispetto a quelle offerte dalla compagnia irlandese. Una questione di mercato, sembrerebbe, di equilibrio tra domanda e offerta.

Ma il problema è ben più grave perché smaschera un tallone di Achille, forse il più drammatico, del capitalismo d’assalto contemporaneo, che mette senza scrupoli tra parentesi il fattore umano, sfruttandolo come fosse una risorsa materiale, fino al punto da creare un rigetto delle sue politiche non guidato tanto dai sindacati (peraltro quasi inesistenti in certe aziende multinazionali), ma dal “troppo-pieno” della misura sopportabile dagli esseri umani. In sostanza, trattati come merce, gli uomini e le donne impiegati da queste aziende, a un certo punto del loro percorso professionale, desiderano riprendersi le loro prerogative umane e familiari, appunto, cercando condizioni di lavoro più sopportabili e con maggiori benefici.

Le testimonianze dei piloti che hanno abbandonato la compagnia irlandese, leader nel mercato dei voli a basso costo (117 milioni di passeggeri annui; quasi 11 mila dipendenti; 1800 rotte e 220 destinazioni tra 31 Paesi europei, più Marocco e Israele; circa 400 velivoli di un solo tipo, il Boeing 737, per poter risparmiare sulla manutenzione e “cannibalizzare” gli aerei più vecchi; nessun incidente che abbia provocato decessi…), dicono che il troppo è troppo: ritmi di lavoro proibitivi, contratti stipulati con agenzie e non direttamente con la compagnia, mancanza di assicurazioni sanitarie e di assistenza adeguata per un lavoro stressante come il loro. I piloti Ryanair devono ad esempio portarsi nella cabina di pilotaggio la bottiglietta d’acqua e il gavettino con i pasti da casa. E le ferie sono aleatorie e si accumulano mese dopo mese. Appare così chiaro che, oltre un certo livello di stress, non si può più garantire nemmeno la sicurezza dei passeggeri.

Stesso discorso – forse anche peggiore, vista la scarsa contrattualità delle loro posizioni professionali – per gli assistenti di volo, pagati poco più di mille euro al mese e sottoposti a stress lavorativi difficilmente sopportabili, arrivando a dover compiere 6-8 tratte al giorno. Il tutto approfittando del vacuum di certa legislazione del lavoro europea, che non garantisce uguaglianza di trattamenti tra i diversi Paesi dell’Unione.

I benefici della compagnia irlandese, proprietà saldamente in mano a Michael O’Leary, sfiorano i 400 milioni di euro per il 2016, sapendo che i concorrenti non raggiungono i 200. Come spiegare allora questa Caporetto? Taluni paventano addirittura un “rischio loop” (struttura o circuito ad anello), cioè di un avvitamento su sé stesso del sistema aziendale. La compagnia sta cercando di correre ai ripari, con massicce campagne stampa, rimborsi adeguati a chi è rimasto a terra, assunzione di nuovi piloti, miglioramento delle condizioni lavorative e retributive.

Vedremo. Resta il fatto che O’Leary ha intascato in questi ultimi 4 anni più di un miliardo di euro di benefici suoi personali, senza avere l’accortezza di renderne partecipi i dipendenti. Avidità, ingordigia e scarsa sensibilità per le condizioni di lavoro di tanti alla fine si ritorcono contro chi le esercita. Verrebbe da dire che si tratta di una questione di giustizia.

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