Fatima: una questione di fede

A cento anni dalle apparizioni della Madonna a Fatima (1917) nel libro “Fatima l’infinito segreto”, Natale Benazzi propone una lettura dell’evento dal punto di vista dell’intelligenza della fede e chiedendosi quale sia il messaggio di Maria a Fatima per il credente di oggi.

Di Fatima hanno parlato in molti. Praticamente senza inter­ruzione, lungo tutti i cento anni che ci separano dai giorni della prima apparizione, quel lontano maggio 1917 in cui l’Europa pa­tiva gli ultimi lunghissimi mesi che avrebbero portato alla conclu­sione della Grande guerra. Gli studi, le parole, le analisi, i sospetti su Fatima e dintorni non hanno avuto alcuna pausa: riportando le parole dei veggenti, raccontando la storia delle visioni, cercando e moltiplicando interpretazioni e segreti, come chi non si accontenta dei misteri rivelati, quasi per fame insaziabile e atavica, non però d’assoluto (e sarebbe bene), ma dei suoi fantasmi.

Questo piccolo libro, meglio chiarirlo fin dal principio, non ha pretesa di alcun genere riguardo a tutto ciò che appartiene al “misterioso”, all’“esoterico”, al complottistico (pur dovendone, purtroppo e per inevitabile necessità, offrire qualche accenno). Vorrebbe invece prendere una strada un poco diversa (più umile vorrei dire, quasi sottovoce) ma decisiva, non solo per quel che riguarda gli avvenimenti di Cova da Iria, bensì per fornire una trac­cia plausibile di lettura dei fenomeni di visione dal punto di vista dell’intelligenza della fede: di una “teologia spirituale” accorta, ci verrebbe da dire, esprimibile nei termini seguenti, con la domanda per nulla scontata:

Qual è il messaggio di Maria a Fatima

per la vita spirituale del credente cristiano

e per la vita spirituale della Chiesa (comunità e comunione)

in cui quello stesso credente è chiamato a esistere?

Di questo, infatti, si tratta (e non potrebbe essere altrimenti).

[…]

Un’affermazione di tal genere, come il lettore può immaginare, vuo­le togliere da subito ogni dubbio e imbarazzo su alcune tematiche che ci si potrebbe attendere e che, invece, questo libro non tratterà.

Prima fra tutte: la questione dell’attendibilità delle apparizio­ni. Non ne discuteremo, poiché sull’argomento la Chiesa si è am­piamente espressa fin dell’ottobre 1930, quando, con il consenso di papa Pio XI, il Vescovo della diocesi di Fatima-Leiria affermò che gli eventi di Fatima rispondevano ai criteri richiesti e diede permesso ufficiale al culto della Chiesa. Questo a noi, qui, basta. Sia per quanto riguarda le pretese di scientificità sia, ancor di più, per quanto riguarda la fede.

Per quanto riguarda la scienza: se infatti è vero che essa può e deve continuare a elaborare un proprio parere, scevro da ogni pre-giudizio riguardo ai fenomeni che accompagnarono e accom­pagnano gli avvenimenti legati alle manifestazioni di Cova da Iria; fenomeni e messaggi che hanno una ricaduta su questioni storiche, mediche o fisiche (la famosa “danza del sole”, per citarne uno, o l’attendibilità a posteriori di alcune indicazioni di stampo profeti­co), non ha però alcuna voce in capitolo sulle questioni che riguar­dano la veridicità dell’esperienza mistica in quanto tale, né sulla veridicità di qualunque genere di rivelazioni “soprannaturali”. Non è, semplicemente, il suo campo. La scienza, infatti, non potrà mai definire con certezza o accuratezza sufficiente né la veridicità né la non veridicità di fenomeni che (si creda o meno a essi) sono per la loro stessa essenza sottratti a un giudizio “sperimentale”. Può non accoglierli, può offrire un parere “scientifico”, sapendo che resta un parere. Vale, infatti, per l’esperienza mistica (che è esperienza d’amore) quel che dovrebbe valere per tutte le “esperienze d’amo­re”: ciò che la scienza può misurare è la presenza della “reazione” umana dell’amante a quel che gli accade, ma non la bontà o meno del fenomeno stesso che produce l’amore; può misurare le reazioni neurologiche e biologiche ma non può rispondere alla domanda: «si tratta solo di questo?». A meno che si voglia ridurre anche ogni “sentimento” e ogni “passione” a una sorta di predisposizione, cosa che, di fatto, priverebbe la donna e l’uomo della libertà e della possibilità stessa di un evento “altro”, insondabile in realtà e a volte completamente incomprensibile (cosa che appartiene precisamen­te al mondo della relazione libera e quindi della spiritualità indivi­duale e comunitaria).

[…]

Va detto pure che il credente cristiano, se pure non ha ragione alcuna per dubitare dell’attendibilità di Fatima dal punto di vista della fede personale ed ecclesiale, può però serenamente scegliere se accostarsi a questa rivelazione o se rimanerne a latere: trattando­si, infatti, di una “rivelazione privata”, quella di Cova da Iria non impone a nessuno una devozione “necessaria alla salvezza”. Anche questo va detto, a scanso di equivoci.

[…]

Tutto quello che sappiamo degli avvenimenti occorsi tra il mag­gio e l’ottobre 1917 a Cova da Iria dipende, per la gran parte, dalle testimonianze di Lucia dos Santos, la piccola veggente che – unica fra i tre bambini – faceva domande alla Signora apparsa (Giacinta sentiva le risposte, ma non intervenne mai direttamente; Francesco vedeva la Signora ma non udiva le parole). La nostra scelta sarà quindi quella di dare ampio spazio proprio al racconto (anzi, ai racconti) di colei che tutti conoscono come suor Lucia. Poiché, è inevitabile pensarlo, la rivelazione di Fatima fu senza alcun dubbio una sorta di precipitato dell’esperienza mistica della piccola Lucia, che trascorse il resto della sua lunghissima vita a comprendere e tradurre quel che le era accaduto.

Da FATIMA L’INFINITO SEGRETO, una nuova lettura delle profezie e dei segreti mariani di Natale Benazzi, Città Nuova, 2017

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