Farmaci orfani, l’Italia eccelle ma pesano le disparità regionali

Secondo il settimo rapporto annuale Ossfor, l'Italia è seconda in Europa solo alla Germania per il numero di farmaci orfani disponibili. Ma dietro a questo numero si celano notevoli criticità a livello territoriale, che riguardano anche l'assistenza sanitaria più al largo
Foto di archivio, 21 maggio 2004 ©Dpa/Lapresse

Un Paese che sulla carta è sul podio, ma solo per chi ha la fortuna di vivere nella Regione giusta: è questo il quadro che emerge dal settimo rapporto annuale dell’Osservatorio sui Farmaci Orfani (Ossfor), ossia su quei medicinali utilizzati per le malattie rare – e che non possono quindi essere prodotti su scala sufficientemente ampia da essere economicamente sostenibili senza un intervento normativo ed economico da parte dello Stato.

Secondo i dati presentati lo scorso 12 dicembre al Senato, sono 50 i farmaci orfani disponibili in Italia all’inizio del 2023, pari all’82% del totale dei 61 prodotti approvati a livello europeo dalla European Medicines Agency (Ema) tra il 2018 e il 2021: un dato che vede il nostro Paese secondo solo alla Germania, dove i farmaci orfani disponibili sono 55. Se a questo aggiungiamo la progressiva riduzione del tempo medio nazionale di movimentazione a livello regionale dei farmaci autorizzati dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), passato da circa 407 giorni (circa 14 mesi) nel 2016 a circa 161 (circa 6 mesi) nel 2021, possiamo dire che la situazione complessiva nel Belpaese è buona.

O, meglio, avrebbe le potenzialità per esserlo ma non lo è ovunque: perché i sondaggi condotti tra i pazienti nelle diverse Regioni hanno infatti evidenziato difficoltà concrete nell’accesso sia a questi farmaci che più in generale alle cure, e che si acuiscono in alcuni territori rispetto ad altri. Coinvolgendo le oltre 430 associazioni dell’Alleanza Malattie Rare-AMR, è emerso che le persone con malattie o tumori rari incontrano difficoltà nell’ottenere il pieno riconoscimento del percorso assistenziale (42,9%), nell’avere supporto psicologico (48,42%, supporto che pure è in alcuni casi espressamente previsto dai percorsi diagnostico terapeutici) e aiuti economici (33,21%) e nel vedersi riconosciuta l’invalidità civile (30,23%). Inoltre, il 53,3% dei partecipanti all’indagine ha riferito di aver avuto difficoltà nell’ottenimento della diagnosi, arrivata tra 1 e 3 anni (23,44%) o anche oltre i 3 anni (25,88%); e dovendo, in quasi un quarto dei casi, spostarsi fuori Regione per ottenerla. Ancora più rilevanti i dati sulla presa in carico, che indicano come per circa la metà dei pazienti questa sia avvenuta fuori Regione.

«In parte si tratta di una mobilità fisiologica, che non va sempre letta come una mancanza del territorio – ha sottolineato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice di Osservatorio Malattie Rare –: soprattutto nel caso delle patologie più rare è naturale che l’expertise si concentri in pochi Centri con una solida competenza sulla specifica patologia. Il 19,1% dei pazienti dice di far riferimento ad un Centro fuori Regione: è una percentuale alta ma non è tanto questo a preoccupare, quanto quel 21,63% di persone che dichiarano di non essere state prese in carico né all’interno né fuori dalla propria Regione. A generare i maggiori problemi non è tanto la distanza dal Centro di riferimento dove ci si reca periodicamente, quanto la messa in pratica del piano terapeutico e assistenziale sullo specifico territorio di residenza» [basti pensare ad esempio che non sempre le prescrizioni di farmaci o di prestazioni fatte in una certa Regione vengono automaticamente riconosciute in un’altra, ndr].

«I dati raccolti nel VII Rapporto Annuale OSSFOR – ha spiegato Francesco Macchia, coordinatore dell’Osservatorio – evidenziano che, nonostante ci sia una crescente disponibilità di farmaci orfani a livello nazionale anche rispetto agli altri Paesi europei, le criticità rimangono, e sono rilevanti, quando dal nazionale si passa a osservare il territorio, dove i problemi riguardano sia i servizi sanitari che quelli socio-assistenziali. Senza dimenticare che la Legge 175/2021, nota come Testo Unico sulle Malattie Rare, è ancora in buona parte inattuata, a causa della mancanza di alcuni decreti attuativi. Occorrono risposte non più rimandabili, perché l’equità di accesso ai servizi per la salute deve essere garantita a tutti, così come sancito dalla nostra Carta Costituzionale. Per questo motivo è necessario che il lavoro di tutta la comunità delle malattie rare, unita, si concentri sul miglioramento dei servizi regionali e territoriali». Tra le principali disparità regionali rilevate, i rappresentanti delle Associazioni hanno indicato quelle nell’ambito dell’assistenza socio-sanitaria (63,46%) e dell’assistenza medica (57,69%), nell’approccio all’assistenza domiciliare (50%) e nell’assistenza fisioterapica (32,69%).

In quanto alla spesa per questi farmaci, nel 2022 il nostro Paese ha speso 1,98 miliardi di euro (in rialzo del 29% rispetto al 2021), circa il 6% della spesa farmaceutica a carico del Servizio Sanitario Nazionale. I consumi si attestano a 11,4 milioni di dosi (+35,7% rispetto all’anno precedente), pari allo 0,04% del consumo complessivo di farmaci: un aumento che si spiega, secondo il presidente del Comitato Scientifico C.R.E.A. Sanità Federico Spandonaro, con «una disponibilità crescente di cure per le persone affette da malattie rare: uno dei tanti elementi a sostegno dell’approccio secondo cui il denaro impiegato in sanità sia un investimento e non solo una spesa». Va infatti ricordato che le malattie rare sono terreno molto fertile per la ricerca, i cui risultati possono poi magari essere estesi anche a patologie più comuni: nel 2022 faceva infatti riferimento a quest’ambito il 40% degli studi clinici iniziati. Gli investimenti in questo tipo di ricerca, compresa quindi quelli che riguardano i farmaci orfani, interessano in realtà tutti noi.

C’è infine da evidenziare un elemento non secondario quando si parla di “Big Pharma” e degli interessi economici delle aziende farmaceutiche. Secondo i dati del rapporto, le 53 aziende che in Italia producono farmaci orfani hanno un fatturato medio nei confronti del Ssn di 160 milioni di euro annui, con un’incidenza media di questi medicinali del 24%: si tratta quindi, ha evidenziato Macchia, «di un fatturato Ssn complessivo mediamente più basso delle altre aziende operanti nel panorama italiano. Un elemento che non ha un valore solo economico, ma anche etico». Detto in altri termini, a queste aziende converrebbe produrre tipologie di farmaci magari meno costose ma di più largo consumo; tuttavia fanno entrare nel loro operato anche criteri etici e di responsabilità sociale.

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