Fare politica è abitare la complessità

Intervista al presidente del Centro di Cultura Lazzati di Taranto, prof. Domenico Maria Amalfitano
ph Pixabay

Prof. Amalfitano, presidente del Centro di Cultura per lo sviluppo Lazzati di Taranto, già sottosegretario al governo, uomo politico aperto alle innovazioni culturali, trova nella visione di Aldo Moro una anticipazione del pensiero politico della complessità?

C’è un’espressione icastica di Aldo Moro: il Paese si va rimescolando. Era il modo con cui egli vedeva la realtà italiana, una realtà quasi in travaglio, in costante dinamico mutamento: dalla Costituente alla straordinaria crescita degli anni ’60 fino agli di piombo. Su questa dinamica, Moro elabora il suo pensiero, costruisce un’originalissima struttura concettuale e linguistica che solo ora comincia ad essere percepita come innovazione della mentalità e della cultura politica italiana: una visione e comprensione secondo complessità! Un’intelligenza degli avvenimenti, una democrazia cognitiva e un linguaggio come descrizione della realtà, del concreto vivente percepito nel suo evolversi fenomenologico. Un linguaggio in presa diretta della realtà (altro che cripto) che voleva esprimere, nella sua interezza, ogni possibile inclusività al di là dei presupposti culturali bloccati dalla semplicistica e riduzionistica dicotomia: bene/male, amico/nemico, progresso/conservazione. Moro ha sempre abitato la differenza; l’ha abitata soprattutto come cristiano, ne è stato persino martire! Il principio di non appagamento, il già e non ancora, la relazione come tensione all’unità, che è coesione del molteplice, l’et…et e non l’aut…aut. La pregnanza del paradosso evangelico si rivela, negli scritti morotei, come costante tensione. C’è nella sua filosofia del diritto l’insistenza quasi ossessiva di una parola: universaleTensione al tutto, all’intero che si costruisce non nella mera rivendicazione di un’identità ma nel tenere insieme per evolvere. È il confronto che esprime agapicità. Moro ha indicato in maniera profetica il passaggio dalle culture lineari che non tengono, che non si incontrano, le parallele non convergenti, alle fasi dinamiche che si succedono nella storia e che si costruiscono avendo visione, avendo lo sguardo che salva, lo sguardo che dà futuro.

 

Quali affinità culturali ed epistemologiche trova tra il Manifesto di Ontologia trinitaria, il Manifesto di Marsiglia sulla teologia del Mediterraneo, il pensiero della complessità di Ceruti e De Toni?

Senza una visione trinitaria, senza una concentrazione dell’esperienza trinitaria che evidenzia l’essere tutto in relazione, il Manifesto per una teologia dal Mediterraneo farebbe molto più fatica ad agire, forse sarebbe quasi non dato. È il riprendere con esito di laicità il dogma trinitario come criterio dinamico di ricostruzione, di ritessitura di rapporti e di dinamiche economico/sociali. Solo così una teologia in uscita, una teologia civile può avere notevole esito. Da qui la possibilità per un nuovo personalismo, quello che Ceruti chiama umanesimo planetario. Una ripresa mistica, ma laicissima di bene comune.

 

Come si muove il Centro di cultura per lo sviluppo Lazzati di Taranto nella complessa tessitura di reti per ripensare teologia e politica in vista di un Mediterraneo di pace? Cosa significa “dialogo a tutto campo”, frutto di interconnessioni, contaminazioni e fraternità, annunciato nel Manifesto di Marsiglia? 

Il Centro di Cultura Lazzati ha un’ambizione e forse anche una presunzione, quella di provocare una pre-comprensione intera del territorio, una pre-comprensione secondo complessità: una reciprocità di risorse, di saperi, di uomini e donne, di talenti, di narrazione di storie che lo facciano assurgere a luogo mediterraneo. Siamo mediterranei e vogliamo responsabilmente esserlo attivando globale e locale. La pace è un esito, è un essere ciascuno tramite l’altro, è un camminare camminando insieme, educando, curando in responsabilità dinamiche di comunità di destino.

 

Quali sono i rapporti tra indicatori del Bes e buona politica, visti con il pensiero della complessità e alla luce della Laudato si’

Gli indicatori e gli obiettivi sia Istat che del Bes che dell’Agenda 2030 sono gli strumenti unici ed essenziali indispensabili per la conoscenza del territorio. E senza territorio, senza luogo non c’è cittadinanza, non c’è riforma, non c’è innovazione, non c’è politica. I leaderati vaganti, lontani non servono, distruggono, spesso ingannano. È dalla concretezza del territorio, dei luoghi che nasce la partecipazione attiva, la cura, la cittadinanza creativa. Nasce la speranza ma anche il dovere collettivo e comunitario del consuntivo. Il sogno senza conoscenza, senza riscontro è sogno negato spesso è inganno.

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