Fare la differenza
Costruire concretamente un mondo più solidale. Le sfide dei Gmu
Curioso che, nella lista delle traduzioni disponibili, la prima lingua – complice l’ordine alfabetico – fosse l’arabo: ma davvero a Castel Gandolfo erano arrivati da tutto il mondo per il secondo meeting dei Giovani per un mondo unito, espressione giovanile del Movimento dei focolari. A fungere da richiamo anche la beatificazione di Giovanni Paolo II, avvenuta alla conclusione dei tre giorni di incontro. Tema di quest’anno è stato Make visible change, “crea un cambiamento visibile”: un richiamo a incidere in prima persona sulla realtà in cui si vive, trovando insieme risposte al come farlo. Risposte che partono dall’esperienza concreta: dai giovani di Trieste, che hanno trasformato una caccia al tesoro di raccolta fondi per Haiti in un’occasione di incontro con anziani ed extracomunitari, a quelli della Costa d’Avorio, impegnati nel reparto pediatrico di un ospedale durante i recenti scontri che hanno insanguinato il Paese, a quelli del movimento giapponese del Risso Kosei-Kai, che, pur colpiti dal sisma, hanno portato aiuti di persona a chi si trovava in condizioni peggiori.
La cosa che lascia stupiti in questi appuntamenti è proprio l’entusiasmo: da chi già da tempo conosce questa realtà, agli innumerevoli casi di “folgorazione sulla via di Damasco” di chi era sempre stato allergico alla fraternità universale, è raro vedere qualcuno che se ne sta in un angolo o si tira indietro quando c’è da fare qualunque cosa – dall’intervenire in una discussione al (ebbene sì) dare una mano a sparecchiare dopo i pasti. Come è facile immaginare, sono proprio i pasti il momento privilegiato di socializzazione e, si può dire, di contributo al miglioramento delle relazioni internazionali: fa specie vedere un pakistano e un indiano cenare insieme discutendo di cricket, mentre i leader dei loro Paesi non sono poi in così buoni rapporti. Quando chiedo lumi in proposito mi sento rispondere, forse semplicisticamente, che «a livello di singole persone non c’è nessun problema, è la politica che li crea…»: ma è un fatto che, come emerso nel dibattito sulla costruzione di rapporti autentici, i giovani, nonostante vengano spesso considerati come persone isolate all’interno dei loro mondi virtuali, abbracciano in pieno la visione dell’uomo come essere in relazione.
Anche davanti a un caffè capita di fare incontri interessanti, come quello con Lara, una ragazza araba cristiana che vive a Gerusalemme, in territorio israeliano, e frequenta un’università ebraica. Più complicato di così non si potrebbe immaginare: ma sentirsi dire che «non ho scelto un’università ebraica solo per avere migliori possibilità di lavoro, ma anche per capire finalmente come la pensano quelli che sono, in fondo, miei concittadini», fa ben sperare nella riuscita di quella che lei stessa definisce «una sfida molto difficile».
Ma il meeting non è solo stare seduti in sala: grande successo ha riscosso l’Expo mondo unito, 14 stand in cui diversi gruppi hanno pubblicizzato le iniziative che portano avanti, oppure semplicemente presentato il proprio Paese. Dalle danze popolari, alla musica, ai cibi tipici – manco a dirlo, i primi stand a essere presi d’assalto (da provare l’abbinamento tra parmigiano e spezie mediorientali, favorito dall’aver condiviso i tavoli) – tutto è servito a proseguire lungo questo cammino di incontro.
Era presente con un suo stand anche Città Nuova, che ha suscitato, soprattutto grazie al sito, la curiosità dei giovani che ancora non la conoscevano. Molto partecipati anche i workshop – su temi quali gli stili di vita sostenibili, la comunicazione, l’arte e lo sport – e il collegamento mondiale per il lancio della Settimana mondo unito la sera del 29 aprile: otto giorni in cui tanti giovani si impegnano in maniera particolare per incidere sull’opinione pubblica dei propri Paesi, organizzando eventi e azioni di ogni genere.
I tre giorni di meeting hanno indubbiamente dato la carica per affrontare la fatica finale: la notte bianca per la beatificazione di Giovanni Paolo II. Non è mancata nemmeno l’ebbrezza della notte in strada, infilati nei sacchi a pelo nell’attesa di entrare in piazza San Pietro: difficile spiegare alla propria madre di aver passato una notte da senzatetto. Ma, come da commento unanime, almeno questi giovani hanno potuto dire: «Io c’ero». Un “esserci” che per loro non è solo un “essere presenti”, ma anche un fare, in qualche modo, la differenza.