Far sorridere il mondo
Mohammed non ha ancora 22 anni, è curdo iracheno e ha già vissuto alcuni anni in Svezia. Ora è venuto in Italia per questione di documenti. Ha due occhi limpidi e buoni. Lo faccio accomodare nell’ufficio per spiegargli come funziona il dormitorio Caritas dove verrà accolto temporaneamente. Grazie all’inglese, possiamo capirci un po’. Cerco di interessarmi a lui e alla famiglia, ai motivi che lo hanno spinto a lasciare la sua terra e al suo breve ma già intenso passato, dimenticando le situazioni – comunque dolorose – che ho conosciuto prima del suo arrivo. Quando è entrato, mi sembrava stanco e teso, ora lo vedo pian piano distendersi. Spesso sorride. Alla fine mi dice: «In sei anni non ho mai incontrato una persona che mi accogliesse come hai fatto tu questa mattina… mi hai fatto passare lo stress». E mi ringrazia. Poi mi chiede di scrivergli su un foglio il mio nome, ma quando il colloquio finisce e mi saluta, mi chiama “papà”. Mi viene in mente una frase detta da qualcuno, che suona più o meno così: «Siamo chiamati, come cristiani, a far sorridere il mondo».
S.U. – Italia