Far pagare chi rischia

La lezione di due anni fa sembra non sia servita a nulla: le grandi banche e i fondi speculativi hanno preso di mira i titoli di Stato di Grecia e Portogallo.

La lezione di due anni fa sembra non sia servita a nulla: le grandi banche e i fondi speculativi hanno preso di mira i titoli di Stato di Grecia e Portogallo che hanno difficoltà a restituire le emissioni in scadenza, vendendone allo scoperto, senza possederli, per farne crollare il valore e poi acquistarli con un guadagno, scommettendo sul fatto che gli altri Stati europei non saranno per sempre solidali. Operano così senza tenere conto che spesso quegli Stati si sono indebitati per salvare le loro banche dallo tsunami finanziario del 2008 da loro provocato; un comportamento cinico, un “azzardo morale” di chi pretende di guadagnare senza produrre alcunché, scommettendo sul prezzo futuro dei titoli di Stato dei Paesi deboli e assicurandosi contro i rischi delle loro operazioni, sottoscrivendo cds, credit default swaps.

 

Ciascuno è libero di rischiare i propri soldi come vuole, ma nella finanza non si vuole rischiare: la banca che sottoscriverà il cds assicurando il rischio della prima, a sua volta si assicurerà con un’altra condividendo parte del premio ricevuto, magari rendendosi disponibile ad assicurare a sua volta la sua assicuratrice in un’operazione simile. Si crea così una complessa ragnatela di rapporti tra banche: se una di queste fallisse, tutte le altre cadrebbero come birilli. Ma, dato che in questo intreccio sono coinvolti istituti che non si possono lasciar fallire per non bloccare il sistema economico, alla fine i veri garanti dei rischi saranno gli Stati, cioè noi contribuenti.

Allora se chi davvero risarcisce i danni sono gli Stati, perché i premi dei cds non sono soggetti ad iva, cioè ad una imposta di almeno il 20 per cento? Dato che i crediti che sono assicurati per questa via sono per oltre i 40 mila miliardi di dollari, gli Stati potrebbero recuperare da 150 a 200 miliardi di dollari l’anno, utili a ridurre il debito pubblico senza dover aumentare le imposte sui cittadini oppure ridurre le spese per la ricerca, la formazione e l’assistenza sociale. Per evitare scappatoie questa decisione dovrebbe essere concertata a livello internazionale.

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