I fantasmi del neonazismo nella “Piazza degli eroi” di Bernhard
Alla fine dello spettacolo, quel teatro vuoto ripreso dalla telecamera e inquadrato da dietro gli attori che soli applaudono, mette i brividi. Si carica di molti significati legati al nostro presente. La mancanza, l’attesa, la sospensione, il bisogno, la vicinanza, il calore. Siamo al Teatro Mercadante di Napoli. Lo spettacolo andato in scena è Piazza degli eroi di Thomas Bernhard, ripreso da Rai5 e mandato in onda sabato 23 gennaio.
Il suo debutto, scelto dal regista Roberto Andò per inaugurare la sua nuova direzione artistica del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, era previsto a dicembre dello scorso anno, ma, come tanti altri spettacoli, è stato cancellato a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. Grazie all’archivio di Rai Cultura si è deciso di restituirne intanto la fruizione in video − una regia televisiva ad hoc di Barbara Napolitano, con sapiente uso di primi piani, piani-medi, panoramiche −, in attesa della ripresa degli spettacoli dal vivo che ci riporti all’insostituibile rapporto tra attore e spettatore.
Doppiamente meritevole l’operazione di Andò per aver portato in scena questo testo rovente dello scrittore austriaco (morto nel 1989) mai allestito in Italia, una storia che rappresenta una spietata denuncia di un nazismo che, in altre forme, risuona ancora oggi col pericoloso montare di nazionalismi e fascismi. Caustico indagatore delle meschinità del quotidiano e dell’esistenza, Bernhard ce ne ha date tante diverse declinazioni. Ultima in quest’opera teatrale dove, nel continuo oscillare tra il tragico e il grottesco dei toni, in più dura polemica – com’è sempre stato – con la sua patria nella quale non si riconosceva più, rievoca i ricordi dell’Austria che si è lasciata felicemente annettere alla Germania nazista festeggiando i 50 anni dell’annuncio di Hitler, l’’Anschluß’, nella Heldenplatz, la piazza principale della città.
Il protagonista della pièce, il professor Josef Schuster, intellettuale ebreo, fuggito dal nazismo e rifugiatosi a insegnare a Oxford, torna insieme alla moglie dopo 50 anni nella sua Vienna dopo un esilio iniziato al tempo del Füher, e ritrova un paese incattivito, dove l’odio e l’antisemitismo avanzano nuovamente. Non potendolo sopportare, pone fine alla sua vita gettandosi dalla finestra della sua casa che affaccia proprio sulla Piazza degli Eroi.
Divisa in tre scene, l’azione è sfrondata del preciso riferimento geografico e pensata in una qualsiasi città d’Europa, e ha come fulcro la presenza-assenza del suo vero protagonista, evocato dal parlare di tutti i personaggi che cercano di capire i motivi del suo suicidio. Il primo quadro (scene nitide firmate da Gianni Carluccio) è l’interno di un appartamento con una governante chiacchierona e una cameriera, intente a pulire e sistemare valigie e borse, e il palcoscenico disseminato di carte e di scarpe da lustrare, per le quali il professore ha una passione incontrollata − per lui «cambiare luogo vuol dire cambiare scarpe, sempre pronto a fuggire» −. Dalle due donne apprenderemo del suicidio avvenuto cercando di darsi una ragione di quel gesto. Saltando da un argomento all’altro, conosceremo aspetti della personalità puntigliosa del professore, e delle diverse vicende familiari fra cui il ricovero in manicomio della moglie ossessionata dalle grida che sentiva nella sua testa: quelle dell’adunata di austriaci acclamanti il discorso del Füher. Dei tronchi d’albero sospesi, due panchine e un lento cadere di foglie fanno da ambiente al secondo quadro che si svolge in esterno, con le due figlie del defunto che parlano col loro zio Robert, anche lui professore che ha trascorso del tempo a Cambridge. Dal loro dialogo fatto di ricordi della personalità del suicida, emergerà quella sua paura crescente per un mondo stravolto in cui stavano riaffiorando i vecchi fantasmi del nazionalsocialismo. Il terzo quadro ci riporta dentro l’appartamento per un’ultima cena dopo il funerale, prima che le stanze siano svuotate e partire per l’Inghilterra. Nel mezzo delle conversazioni, tra schegge futili e momenti seri, la vedova del professore risente, solo lei, quella tempesta di voci che ancora la perseguitano. Le udiamo anche noi spettatori, alzarsi sempre di più fino a sovrastare con il suo tumulto insostenibile le parole di tutti. Quelle voci, reminiscenze spettrali delle atrocità del 1938, rappresentano l’ectoplasma della realtà insorgente dei neonazismi di ieri e del populismo nazionalista, xenofobo, razzista di oggi.
Pubblicata nel 1988 e rappresentata per la prima volta al Burgtheater di Vienna il 4 novembre dello stesso anno per la regia di Claus Peymann, Piazza degli eroi, opera che chiude la parabola teatrale di Bernhard (morirà l’anno dopo), rappresenta un forte monito a non ripetere gli errori del passato di fronte all’ondata montante di razzismi e intolleranze. E lo fa, nella pièce, con ripetute battute apertamente provocatorie e violenti attacchi espliciti alla meschinità e ipocrisia dei rappresentanti delle istituzioni e dell’intero popolo austriaco di allora, facendo dire, ad esempio, a uno dei personaggi: «Oggi la situazione è veramente quella/ che c’era nel trentotto/ a Vienna ci sono adesso più nazisti/ che nel trentotto – fa dire a uno dei personaggi − lo vedrai/ come tutto finirà male/ per capirlo non c’è mica bisogno/ di una mente tanto acuta/ adesso stanno venendo fuori di nuovo/ da tutti i buchi/ che più di quarant’anni fa erano stati tappati/ basta che ti metti a parlare con uno qualunque/ e non ci vuole tanto/ perché salti fuori un nazista». Per la sua esplicita posizione politica, il debutto dello spettacolo fu segnato da violentissime polemiche e contestazioni, tra fischi, urla, insulti all’autore vittima anche di aggressione fisica.
Plauso all’efficace e asciutta messinscena di Andò, che accentua, oltre alla reiterazione verbale tipica dell’autore − la circolarità costretta dell’esistenza −, quella gestuale degli interpreti, impaginata dosando naturalismo, simbolismo e graffio grottesco, resi dall’ottimo cast di attori. In testa, Imma Villa nel ruolo della governante, Renato Carpentieri in quello di Robert, Betti Pedrazzi nei panni della signora Schuster, ai quali si aggiungono Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Enzo Salomone e la presenza muta del pianista Vincenzo Pasquariello, quasi un servo di scena che, oltre a sottolineare con la musica le atmosfere, sposta oggetti, marca passaggi di umori e osserva le situazioni.
“Piazza degli Eroi”, traduzione di Roberto Menin, regia Roberto Andò, scene e luci Gianni Carluccio, costumi Daniela Cernigliaro, suono Hubert Westkemper. Produzione Teatro di Napoli–Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro della Toscana–Teatro Nazionale.