Una famiglia multiculturale a Nomadelfia
Lei è Solange, ruandese, fuggita dal suo paese in seguito alla guerra civile. Lui è Gianni, italiano di Ribera, in provincia di Agrigento. Si sono conosciuti a Milano, nella realtà di “Mondo di Comunità e Famiglia” di Villapizzone, un’esperienza di vita comunitaria nata, in principio, tra un gruppo di famiglie e una piccola comunità di padri gesuiti, che cercavano di vivere insieme uno stile di vita quotidiano aperto, solidale e accogliente.
È il 2001: Gianni visita la comunità perché desidera sperimentare una forma di vita comunitaria. Solange si trova lì perché ospite di una famiglia. Nota subito questo trentacinquenne semplice e altruista, sempre disponibile con tutti. «È stata la cosa che mi ha fatto innamorare di lui – racconta –, ed è la stessa cosa che oggi delle volte mi fa ingelosire! Lui c’era e c’è sempre per chi ha bisogno!».
Da parte sua, Gianni nota quella quasi coetanea per come si relaziona con i bambini della casa, quel qualcosa di materno che emana: «Se devo essere sincero, l’ho immaginata quasi subito come madre dei miei figli. Mi piaceva come si occupava dei bimbi della casa, e ho immaginato che sarebbe stato bello creare una famiglia con lei». Gianni e Solange si parlano, si raccontano, si confrontano sul tipo di famiglia che desiderano e a settembre del 2003 si sposano.
Ricorda Gianni: «Per il nostro matrimonio abbiamo scelto quel brano di Vangelo che è parte del discorso della Montagna, che dice: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Per noi il regno di Dio e la sua giustizia corrispondevano al poter vivere in un ambiente dove fosse possibile donare la nostra vita per gli altri. La vita che ci era stata donata noi volevamo viverla per gli altri».
Così, con la realtà di Mondo di Comunità e Famiglia, comincia il loro cammino insieme. «La vita di isolamento non faceva per me,» racconta Solange «trovarmi in questo ambiente dove era possibile condividere il quotidiano con gli altri mi corrispondeva, mi sentivo al mio posto». Capiscono subito che, se vogliono realizzare il sogno di famiglia che sperano, devono tener conto di alcuni aspetti fondamentali.
«Se sali su un aereo – chiarisce Gianni –, prima di decollare ti danno le istruzioni d’emergenza e ti spiegano che per prima cosa devi metterti la maschera per l’ossigeno e solo dopo puoi aiutare gli altri. Nel nostro caso, se volevamo “aiutare” dovevamo trovare anche forme d’ossigeno per noi due. Chi sta bene si apre e chi si apre sta bene. E ne nasce un circolo virtuoso».
Passano gli anni, Gianni e Solange crescono individualmente e come coppia. Finché la loro vita non incrocia quella di Nomadelfia, in Maremma, una comunità di volontari cattolici fondata da don Zeno Saltini che cerca di costruire un tipo nuovo di società, fondata sul Vangelo, dove tutti i beni sono in comune, non esiste proprietà privata, non circola denaro, si lavora all’interno e le famiglie sono disponibili ad accogliere figli in affido.
«L’incontro con Nomadelfia è avvenuto durante il nostro cammino di famiglia, in cui non è mancato il confronto e l’arricchimento proveniente da esperienze diverse. Abbiamo visitato diverse volte la comunità, anche trascorrendovi periodi più o meno lunghi – racconta Solange –, molti aspetti della vita comunitaria ci incuriosivano. Nell’approfondire, ci sentivamo chiamati a vivere quei valori che scoprivamo inizialmente, portandoli dove vivevamo».
Poi, l’attrazione verso quella vita totalitaria diventa più forte. Gianni lascia il suo lavoro di educatore: nel 2011 chiedono di entrare nella comunità di Nomadelfia, per vivere insieme ai nomadelfi quei valori che li hanno conquistati.
«Qui, abbiamo trovato tutto ciò che pensavamo fosse la realizzazione del nostro sogno: le condizioni ideali per poterci fortificare come famiglia ed essere utili agli altri. Nella comunità siamo in 300, divisi in 12 gruppi familiari, composti da 25 a 30 persone. La nostra vita è comune, e questo ci aiuta personalmente e come famiglia a crescere, oltre ad accogliere altre persone» spiega Gianni.
Secondo un proverbio africano, citato anche da papa Francesco, «per educare un bambino ci vuole un intero villaggio». Per Solange l’esperienza di Nomadelfia ha come unificato la sua storia: «Quello che ho vissuto nella mia famiglia in Ruanda, che mi ha reso quella che sono, trova consonanza nella realtà che stiamo vivendo qui a Nomadelfia, dove impegniamo tutta la nostra energia vitale nel condividere con gli altri il cammino di fede, nell’accogliere e nell’educare i figli insieme».
Se poi gli chiedi come è la vita di una famiglia multiculturale come la loro, Gianni risponde: «È una sfida! Abbiamo un passato diverso, vedute diverse, ma questo ci permette di allargare i nostri orizzonti. È un arricchimento. Ultimamente, siamo stati in Africa a trovare il babbo di Solange, e abbiamo portato con noi alcuni dei nostri figli. Loro si sentono anche figli di quella cultura, e questo ci fa capire che come famiglia apparteniamo all’umanità e al mondo intero». Solange precisa: «Bisogna anche dire, e questa è una riflessione che facevo di recente, che siamo diversi ma la fede e l’educazione ricevuta ci uniscono!».
Prima di chiudere, mi viene spontaneo chiedere quanti figli loro hanno e quanti in affido. Gianni mi risponde: «Mi piace dire che i figli ce li abbiamo tutti in affido, che arrivino dalla pancia o dai servizi. I nostri ragazzi oggi sono sette, ma prima di arrivare a Nomadelfia abbiamo vissuto anche esperienze di accoglienze di prima necessità. Una ragazza che è stata nostra ospite ora è diventata mamma di una bambina e noi ci sentiamo, a pieno titolo, suoi nonni».