Famiglia, il paradiso possibile

Tra le parole pronunciate dal papa a Milano, mi hanno colpito quelle rivolte a Cattien, la piccola vietnamita che gli chiedeva qualcosa della sua famiglia d’origine.
La piccola vietnamita ai piedi del papa

Di questi tempi le parole del papa sono scrutate attentamente, sezionate e analizzate per cogliervi accenni alle purtroppo note vicende vaticane o alle difficili contingenze della politica e dell’economia. Tra quelle da lui pronunciate nella sua visita a Milano, mi hanno colpito quelle rivolte a Cattien, la piccola vietnamita che gli chiedeva qualcosa della sua famiglia d’origine. Benedetto XVI ha risposto con la dolcezza da cui più invecchia più pare rivestito, dicendo che il paradiso deve essere un po’ come era l’atmosfera a casa sua da ragazzo. Dunque la famiglia può essere paradiso quando c’è rispetto, unità e amore. Dunque, il paradiso è sperimentabile anche su questa terra. Dunque, se l’uomo tende alla felicità, al paradiso, la famiglia può essere modello di vita in terra per “anticipare” qualcosa della vita lassù.
La famiglia, dunque, è modello di vita associativa, civile, sociale. Anche ecclesiale. Non certo la famiglia smembrata che sta sotto i nostri occhi e che si pavoneggia su schermi d’ogni tipo, la famiglia “a geometria variabile”. Nemmeno la famiglia del padre-padrone (o madre-padrona) dove la specificità di ruoli e funzioni viene messa tra parentesi, se non addirittura distrutta. E neanche la famiglia dei fratelli-coltelli, dei tradimenti e delle competizioni. La famiglia dove invece c’è rispetto reciproco, dove i figli non vengono viziati nell’opulenza ma vengono piuttosto aiutati a crescere e a stare in piedi da soli, dove c’è reciproca fiducia. La famiglia dove si cerca di valorizzare la libertà e la verità, dove c’è, diciamolo, amore.
La famiglia che riesce a compiere il suo intero percorso con lo stesso papà e la stessa mamma, certamente; anche la famiglia che invece, colpita da una grande prova, si trova smembrata e poi cerca di ricomporsi, magari in altra formazione; anche quella dove uno dei due partner muore o s’eclissa; in senso lato anche quella composta da una zia e una nipote, da due fratelli che non si sposano, anche quella di una comunità di vita consacrata… Ognuno, infatti, può costruire famiglia, la sua famiglia, cioè il luogo spirituale e materiale in cui i propri affetti trovano realizzazione, in cui il “mondo” viene reso abitabile, là dove la fiducia regna.
Chiara Lubich – appassionata di cristianità e di laicità – usò una metafora efficace, un’immagine “paradisiaca” per spiegare quel che dovrebbe essere una società unita: un magnifico cristallo dalle tante sfaccettature, in cui ognuna riflette luce e sembra brillare di luce propria anche se la luce viene d’altrove, in cui ogni faccia del cristallo vive dell’altra faccia e a sua volta fa vivere l’altra faccia, fino a comporre un vero e proprio ricamo di luce.
 
Un’immagine che oggi potrebbe (e dovrebbe) fungere da modello nella Chiesa, nella società politica, in quella economica. Buonismo? Ingenuità? Irenismo? No. Vangelo vivibile.

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