Fame. Larma della speculazione sul cibo
La speculazione sul prezzo dei beni alimentari è un gioco d’azzardo che affama intere popolazioni. In sostanza è una scommessa sul valore del grano, del mais, etc. ad una certa data. Un giochetto che coinvolge una massa elevata di capitali ed è quindi capace di alterare lo stesso prezzo dei beni necessari per l’alimentazione. Grandi profitti per alcuni e aumento della fame per milioni di persone. Non è il solito appello di qualche irriducibile terzomondista, ma l’allarme partito ai primi di settembre 2012 da un comunicato congiunto sui prezzi dei prodotti alimentari rilasciato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Iafd) e dal Programma Alimentare Mondiale (Wfp).
Il testo descrive una situazione di vulnerabilità crescente dato che «anche negli anni positivi, la produzione globale di grano è a malapena sufficiente a far fronte alla crescente domanda per l'alimentazione, gli allevamenti e il carburante in un mondo in cui, ogni anno, ci sono 80 milioni di bocche in più da sfamare», e individua il rischio incombente della crescita vertiginosa dei prodotti alimentari da due fattori interconnessi tra loro: «le crescenti destinazioni di stock alimentari per usi non alimentari e una più forte speculazione finanziaria». Come a dire che un bene, già esposto alle variazioni del cambiamento climatico, diventa ancora più raro perché in parte è venduto per farne carburante e il resto è affidato alle dinamiche di un mercato drogato che si disinteressa del fabbisogno delle popolazioni ma è interessato solo alle fluttuazioni del prezzo tramite strumenti finanziari come i “futures”, gli “swap” e le opzioni di vendita.
Il fenomeno che porta l’economia di carta a sopraffare quella reale ha avuto il suo momento di massima espressione nella primavera del 2008 con l’aumento vertiginoso dei prezzi di riso, mais e grano assieme al numero degli affamati nel mondo (che resta intorno al miliardo di persone). Una situazione molto simile all’attuale.
«Dobbiamo agire rapidamente affinché questi shock dei prezzi non si traducano in una catastrofe per decine di milioni di persone nei prossimi mesi», affermano assieme la Fao, l’Ifad e il Wfp.
Tornare a produrre localmente e bloccare la produzione di biocarburanti quando iniziano a diminuire le scorte alimentari sono indicazioni minime di medio lungo periodo che si affacciano, ormai, in ogni assise internazionale. Ma per la speculazione finanziaria sul cibo che fare? Quale autorità mondiale è in grado di intervenire? Si può lasciare tutto in mano all’autoregolamentazione delle grandi imprese?
Come riporta la rete delle associazioni riunite nella campagna “Sulla fame non si specula”, i colossi che gestiscono gran parte di questo mercato finanziario sui prodotti agricoli sono le statunitensi Goldman Sachs, Morgan Stanley e la britannica Barclays Capitals.
Un segnale arriva dai missionari del Catholic Maryknoll, da tempo impegnati nel movimento degli investitori responsabili, che sono riusciti a far cancellare 2,3 miliardi di dollari investiti in titoli derivati legati alle materie prime agricole da parte del secondo maggiore fondo pensione Usa, il “California State Teachers' Retirement System”.
Risultati sensibili, raggiunti, come riporta la campagna italiana “Non con i miei soldi”, anche dalle ong Oxfam, World Development Movement e Food Watch che hanno indotto la diminuzione del volume di investimenti nello stesso settore dei beni alimentari da parte della Deutsche Bank, del fondo Commerzbankcol, della Dekabank e della banca regionale Baden Wuerttemberg.
L’informazione efficace può aiutare, quindi, un risveglio delle coscienze, quando si accompagna ad uso responsabile del denaro. Si può certo continuare a tacere di fronte alla morte per fame procurata dalla speculazione, eppure esistono le indicazioni per quella possibile inversione di rotta che tarda sempre ad arrivare. Perché non seguirle?