Fame. L’apatia dei potenti

L’ennesima passerella dei leader mondiali quella ospitata dall’Onu dal 20 al 22 settembre. Sul tavolo gli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio.
Povertà

L’ennesima passerella dei leader mondiali quella ospitata dall’Onu dal 20 al 22 settembre. Sul tavolo gli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio annunciati all’inizio del secolo perché ogni persona sia libera dalla povertà e dalla fame, riceva l’educazione primaria e sia garantita la parità uomo-donna, la salute di bambini e quella delle madri. Inoltre siano debellate le pandemie come l’aids, sia salvaguardato l’ambiente e favorito un partenariato globale in grado di coinvolgere tutte le forze vive della società. Traguardi ambiziosi e legati alla scadenza del 2015, che restano irraggiungibili.

 

Come stanno le cose? È chiaro che gli Obiettivi del Millennio non sono un traguardo politico o economico, ma riguardano gli stili di vita. Basta l’Obiettivo 1 per capire che la povertà e la fame sono segni di divisione con una gestione delle risorse in mano alla piccola minoranza del Nord del mondo. Minoranza i cui modelli di consumo, di utilizzo delle risorse o di controllo dei meccanismi dell’economia sono espressi dai comportamenti dei singoli, degli Stati, fino alle strategie delle istituzioni internazionali largamente dipendenti dal finanziamento dei “donatori”. Nell’altra parte, la maggioranza, sono comuni la prevalenza di interessi parziali, la destinazione degli aiuti allo sviluppo agli armamenti o a beneficio di ristrette elite.

Sono circa un miliardo gli affamati, eppure si produce cibo per sfamare il doppio degli attuali abitanti del pianeta. Serve a poco indicare che una migliore (o reale?) distribuzione può eliminare la fame, perché la causa risiede nei consumi smisurati di alcune aree, nel gioco di borsa di cui sono oggetto anche gli alimenti, nell’impossibile accesso al mercato da parte dei poveri. È recente, poi, l’allarme dell’Onu sul conflitto per l’acqua, con la stima di 135 milioni di vittime l’anno entro il 2020, la perdita di biodiversità, la scomparsa di fiumi e laghi. A farne le spese saranno ancora gli “ultimi”.

 

E le soluzioni? Occorre una conversione dello stile di vita, altrimenti le conseguenze colpiranno tutti: non c’è frontiera all’esodo dei poveri, né barriera che protegga dagli effetti del degrado umano e ambientale.

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