Facebook prova a salvare la democrazia negli Usa
“Sono preoccupato: il nostro Paese è diviso più che mai e i risultati elettorali potrebbero portare a disordini civili in tutto il territorio”. È così che Mark Zuckerberg, presidente e amministratore delegato di Facebook Inc., ha voluto annunciare sul suo profilo personale, le regole che verranno messe in atto in prossimità delle elezioni presidenziali americane, allo scopo di evitare manipolazioni dell’orientamento di voto. Non sarà possibile pubblicare contenuti sponsorizzati da parte dei candidati a una settimana dal grande giorno, verranno segnalati tutti quei post che annunceranno la vittoria di uno o dell’altro partito prima che si concludano definitivamente gli scrutini e quelli che faranno allarmismo sulle mancate misure adottate nei seggi elettorali per rispettare le norme di distanziamento sociale con il solo fine di abbassare la percentuale di partecipazione politica.
Abbiamo parlato di questa iniziativa di Menlo Park con Fabio Giglietto, professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Urbino Carlo Bo.
Professore, pensa che le nuove policy avranno un’effettiva efficacia?
Le principali obbiezioni sono legate al fatto che intervenire in questo modo, in ogni caso, determinerà un’alterazione delle scelte elettorali. Se in quella settimana venisse pubblicata una notizia che mette in difficoltà uno dei due candidati, come farebbe l’interessato a rispondere alle accuse in maniera efficace senza il pieno utilizzo dei social? Penso allo scandalo sulle mail dell’allora candidata democratica Hillary Clinton, che si era riaperto poco prima del voto, quando l’Fbi trovò nuove mail inviate da un account personale, invece che da quello istituzionale.
Ancora, non si è considerata la potenza fuoco dei social del presidente americano Donald Trump, nettamente superiore rispetto a quella dello sfidante Joe Biden, che in questo caso ne uscirebbe sconfitto. Infatti, togliendo la leva pubblicitaria Trump avrebbe un pubblico social molto più ampio di quello del candidato democratico. I contenuti sponsorizzati sono importanti, anche solo per raggiungere persone che seguono già la pagina di un politico.
Allora non ci dobbiamo aspettare nulla di positivo da queste nuove norme?
C’è chi dice che non siano del tutto sbagliate perché il silenzio elettorale prima delle elezioni è una regola vigente negli ordinamenti dei paesi europei. È giusto perché c’è una buona percentuale di persone che decidono chi e se andare a votare poche ore prima del voto: è un momento delicato. Ma in questo caso, anche bloccare le inserzioni pubblicitarie dei candidati avrà un effetto manipolatorio. Il perdente potrà dire di essere stato svantaggiato da questa situazione perché non ha potuto fare pubblicità e questo potrebbe ritorcersi contro Facebook.
Cosa rappresenta questa scelta da parte di Zuckerberg?
Io penso che sia un’ammissione di non riuscire a gestire il fenomeno. È un po’ come se loro avessero detto: “Ok. Sappiamo che l’impatto della nostra piattaforma può influenzare il risultato elettorale e siamo molto più consapevoli di questo rispetto alle scorse presidenziale del 2016 ma, nonostante ciò, non siamo in grado di garantire al 100 per cento che non ci saranno forme di manipolazione dell’opinione pubblica”.
Possiamo dire che Facebook abbia sempre avuto un atteggiamento ondivago per quanto riguarda gli effetti della piattaforma sulle elezioni?
Il loro atteggiamento tradizionale è quello di intervenire con grande cautela. A tal proposito mi ricordo quando Zuckerberg, incalzato da un giornalista dopo l’elezione di Trump, alla domanda: “Pensa che Facebook abbia avuto un ruolo fondamentale nel risultato del tycoon?” rispose: “Assolutamente no”, per poi ritrattare nei giorni successivi. Ancora, Menlo Park ha iniziato a fare una serie di interventi molto blandi, mirati a mantenere l’equilibrio. In realtà nel mio lavoro di ricercatore ho conosciuto dipendenti della società motivati a migliorare la qualità delle piattaforme ma ciò che hanno in mano ha una potenza tale che sfugge anche al loro controllo.
Ci sarà mai una soluzione a questo caos?
Io penso che sia in atto un cambiamento epocale e come in tutti questi casi regna il caos. D’altra parte ci sono state in passato elezioni americane vinte grazie campagne televisive e ai tempi quel nuovo mezzo di comunicazione era visto con sospetto. Con tutti i loro limiti, le piattaforme hanno fatto passi in avanti. Basti pensare che un tempo le ricerche venivano fatte da professionisti pagati dalle piattaforme e ovviamente risultavano poco credibili. Oggi le società che gestiscono i social network hanno aperto le loro banche dati a ricercatori esterni e hanno cominciato a collaborare con dei giornalisti investigativi.