Facebook, nuove regole a favore degli azionisti?
Quando apriamo Facebook – da computer o da smartphone – ci troviamo davanti alla cosiddetta “timeline” o “news feed”, la schermata dove vengono mostrati uno dopo l’altro “tutti” i post dei nostri amici, delle pagine di star, politici, giornali, delle aziende che seguiamo (o di quelle che hanno pagato per mostrarci i loro post sponsorizzati) e dei gruppi in cui abbiamo deciso di interagire.
In realtà, non vediamo mai tutti i post, ma solo la parte di quelli che l’algoritmo che regola il funzionamento di Facebook ha scelto per noi in base a diversi parametri. Ci vengono, infatti, solitamente mostrati i post che hanno ricevuto più “apprezzamento” in termini di like o condivisioni, quelli degli amici-contatti con cui abbiamo interagito più frequentemente o i post con cui loro hanno interagito, quelli che contengono argomenti che Facebook ha recepito essere di nostro interesse o affini con il nostro pensiero. Tutti gli altri post esistono, ma ci vengono “nascosti”.
Facebook ha annunciato che nelle prossime settimane questo algoritmo cambierà nuovamente e ci mostrerà soprattutto i post di amici e familiari, rispetto ai post delle pagine commerciali ed editoriali, che nell’ultimo periodo l’avevano fatta da padrona.
Il ragionamento alla base della scelta di Facebook pare “semplice”: le persone stanno su Facebook se trovano dei contenuti interessanti. Se vedono troppi contenuti commerciali di chi vuole vendere qualcosa la tentazione è quella di chiudere e spostarsi su altre piattaforme. “Sentiamo la responsabilità di assicurare che i nostri prodotti siano non solo divertenti da usare, ma anche positivi per il benessere della gente”, scrive il fondatore di Facebook. Per questo “sto cambiando l’obiettivo dato ai nostri team di lavoro, passando dall’aiutare gli utenti a trovare contenuti rilevanti, all’aiutarli ad avere interazioni sociali più significative”.
Le conseguenze
Quello proposto da Facebook è quindi una sorta di ritorno alle origini, quando utilizzare questo social network significava avere uno scambio interattivo con altre persone. Ad una prima lettura stupisce la presa di posizione di Facebook, perché alla base del business del colosso americano ci sono proprio i soldi ricevuti dalle aziende per poter fare vedere contenuti pubblicitari, che attraverso questa modifica dell’algoritmo sarebbero i più penalizzati.
L’impressione è che dietro a questa decisione ci possa essere il tentativo di Facebook di “ripulirsi” l’immagine dopo le accuse piovute da più parti negli ultimi mesi di essere un propagatore di fake-news. Per passare dalla nomea di “social dell’odio” e del falso a luogo di relazione, amicizia e condivisione.
La prima conseguenza di questo cambio di rotta è che stimolare di più la condivisione “personale” potrà permettere a Facebook di ottenere più informazioni su di noi e quindi di conseguenza di conoscerci meglio. Ovviamente per “venderci” meglio agli inserzionisti pubblicitari.
La seconda è che ogni utente sarà sempre più immerso nella sua personale “bolla”, fatta di amici, parenti e contatti “importanti”, selezionati, come abbiamo detto prima, dall’algoritmo in base alle nostre interazioni con una singola persona. E questo non è sempre un bene, perché la sua propensione è quella di circondarci di persone che la pensano già come noi, togliendoci la possibilità di confrontarci con idee diverse dalle nostre.
C’è poi una terza conseguenza, legata al mondo dell’editoria: quella per cui le pagine editoriali e delle aziende saranno proporzionalmente meno visibili sulla nostra time-line rispetto alla visibilità di un post proveniente dai profili personali, a meno che non ci sia un cospicuo investimento finanziario. Ma, ovviamente, ci saranno le eccezioni.
PierLuca Santoro di DatamediaHub racconta come in realtà «sembra che Facebook abbia avvisato preventivamente alcuni publisher, dicendo che per alcuni editori di elevata reputazione i contenuti continueranno a essere messi in evidenza o comunque non saranno penalizzati, creando di fatto, secondo criteri che non sono per nulla chiari, una lista di, pochi, personaggi di serie A e un’altra, più ampia, di serie B».
Dai dati dei test fatti in alcuni paesi, l’impressione che emerge è che Facebook si stia sempre più preparando a diventare un vero e proprio media dove, per esserci e poter far sentire la propria voce, bisogna pagare. L’obiettivo è che gli utenti apprezzino i contenuti, interagendo con essi, in modo che Facebook “registri” queste attività come un interesse verso quella pagina, aprendo così un credito maggiore.
C’è una via d’uscita? Sicuramente occorre da parte dei produttori editoriali riuscire a trovare il modo di coinvolgere le persone per convincerle della bontà e della rilevanza dei propri contenuti, in modo da favorire la loro condivisione.
Perché da ora in poi sarà così: più si condivideranno i contenuti di una pagina che si vuole sostenere, e più questa e i suoi contenuti avranno “visibilità”. Da una parte questo è anche un bene, perché dovrebbero essere più premiati quegli articoli che sono in grado di stimolare una discussione, ma il rischio che gli utenti continuino a “premiare” contenuti virali di poca qualità rimane molto alto.
Come conclude Santoro: «Giocare in casa d’altri con regole fumose non è mai stato divertente e interessante. Ora, in caso di dubbi, ne abbiamo la certezza». E se Facebook annuncia questa novità come un modo per farci più felici c‘è da non credergli troppo, visto che , come gli altri grossi colossi tipo Google o Apple, più che benefattori dell’umanità, lo sono invece dei propri azionisti.