Fabrizio Nevola.Tra fiction e teatro, la serietà dell’attore
Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista a Fabrizio Nevola.
La televisione, rispetto al teatro, dà grande visibilità. E quindi successo…
«Non è detto che bisogna avere visibilità. Quello fa parte di un altro modo di vedere questo mestiere. Bisogna farlo con continuità, questa è la cosa importante. Ci sono attori bravissimi che lavorano da tanti anni e magari non hanno la visibilità che meriterebbero. Non è detto che chi ce l’ha sia migliore di loro, anzi. Io vorrei dire a tutti i casting e ai registi di andare a vederli in azione gli attori, e non agli aperitivi o alle cene, perché molto spesso questo mestiere viene stabilito altrove. Non sto svelando niente di nuovo. Ci sono tanti attori bravi che magari non riescono a fare un provino perché non hanno gli occhi azzurri, o non vestono bene, perché non hanno i soldi necessari. Il teatro, bene o male, è ancora sano perché quando fai i provini c’è sempre il regista e allora lavori con lui. Va bene l’arte ma devi anche poter vivere. Vedi com’è disastrosa la situazione teatrale. Invece la tv ti dà visibilità e soldi. Se io avessi la possibilità e fossi famoso, mi proporrei ai teatri sfruttando al mia popolarità, per poter creare qualcosa di nuovo: metterei su una compagnia, facendo lavorare attori giovani e bravi. Tanti fanno ancora gli scritturati. Io sono abituato a mettermi in discussione. Ho fatto provini con tutti, magari ne ho fatti venti e dieci mi hanno preso. E senza raccomandazioni. Qualcosa a questo punto posso dire di saper fare, anche se devo ancora imparare molto».
Pregio e difetto di te come attore…
«Un pregio sicuramente è il senso del sacrifico; un difetto: faccio troppo. Siccome mi diverte questo mestiere, a volte esagero, difficilmente riesco a giocare di sottrazione, a contenermi. Magari perdo di vista la cifra dello spettacolo, e risulto troppo diverso dagli altri».
Si può dire che il teatro, il mestiere dell’attore, è tutto per te?
«Lo è come è tutto per qualsiasi persona che fa della propria passione il suo mestiere. Io non vado mai in ferie, non smetto mai di lavorare. E lo dico con piacere: mi piace tornare a casa pensando a come dire una battuta e svegliarmi il giorno dopo con la stessa riflessione. È chiaro che poi esistono anche gli amici, la famiglia, e il resto, perché nutrono il lavoro e me stesso».
Come definiresti dunque l’attore?
«Dovrebbe essere come quei disegni che fanno i bambini: l’omino con le asticelle che compongono il corpo, le gambe, le braccia, la testa. Partendo da quella figura. ci puoi mettere qualsiasi cosa, e farlo diventare re, cavaliere, gangster. Però devi raggiungere un livello neutro, di semplicità, di naturalezza, che si ottiene lavorando, studiando».