Fabio Geda: «Vorrei ancora dirti grazie»

La perdita del portafoglio, dei documenti, dei soldi... Il tentativo inutile di recuperarli e poi lei, la sconosciuta che ha attraversato la Sardegna per riportarglieli. L'esperienza dello scrittore torinese, raccontata su Facebook.

«Trovo finalmente il tempo di raccontare una cosa successa in Sardegna qualche settimana fa. Mi è testimone Aldo Addis che essendo libraio è al di sopra di ogni sospetto (chiunque faccia il libraio è al di sopra di ogni sospetto). Sto andando a Cagliari, al Festival Tuttestorie della Letteratura per ragazzi. Mi imbarco a Torino per Fiumicino. A Fiumicino raggiungo il gate B4, dove parte l’aereo per Cagliari. Arriva l’ora dell’imbarco. In tasca ho ancora la carta d’identità mostrata a Caselle e il biglietto è salvato nel wallet dell’iPhone per cui, come niente fosse, acchiappo la borsa e in un attimo sono sull’aereo. Mentre decolliamo mi chiedo: “Dove ho messo le cuffiette dell’iPhone?” Mi rispondo: “Nella tasca del giubbotto”. Mi chiedo: “Dove ho messo il giubbotto?”. In quell’istante lo so. Ho lasciato il giubbotto sulla sedia, al gate B4.In tasca, oltre alle cuffiette, il portafoglio con patente, bancomat, contanti.

Appena arriviamo in quota, appena posso slacciare la cintura di sicurezza, vado dalla hostess. “Senta, dico, sono un idiota, ho lasciato giubbotto e portafoglio al gate da cui siamo appena partiti. Può per favore avvisare qualcuno in aeroporto che lo prenda e lo conservi? Tra cinque giorni ripasso da Fiumicino e lo recupero”. Risposta: “No, non è possibile”. Io: “Perché non è possibile?” Lei: “Perché non fa parte delle procedure. Deve rivolgersi al lost and found di Cagliari quando atterriamo”.

Basito dal fatto che non si possa avvisare qualcuno del personale di terra che prenda in consegna il mio giubbotto e il mio portafoglio penso che per fortuna in quarantacinque minuti sarò a Cagliari. A Cagliari, atterrato, vado al lost and found, spiego la situazione e loro mi dicono che devo chiamare il lost and found di Fiumicino. Mi danno il numero. “Salve, mi chiamo così e così ed è successo questo e questo, potete mandare qualcuno a recuperare giubbotto e portafoglio al gate B4?” Risposta: “No, non è possibile”. Io: “Perché non è possibile?” Loro: “Perché non fa parte delle procedure”. Io: “E quali sono le procedure?” Loro: “Qualcuno deve avvisare la sicurezza che c’è un oggetto abbandonato”. Io: “Occhei, potete avvisare voi la sicurezza che il giubbotto è abbandonato su una sedia al gate B4 o posso io telefonare alla sicurezza per dire che il mio giubbotto è abbandonato su una sedia al gate B4?” Loro: “No, non è possibile”. Io: “Perché non è possibile?” Loro: “Perché chi avvisa la sicurezza che c’è un oggetto abbandonato dev’essere presente sul luogo e permettere alla sicurezza di registrare le sue generalità”. Scusi. E quindi? Loro:” Quindi lei non può fare altro che continuare a telefonarci per sapere se qualcuno ha consegnato alla sicurezza il suo giubbotto”.

Immaginatevi la scena. Io sono a Cagliari. Giubbotto e portafoglio sono su una sedia a Fiumicino. Gli addetti alla sicurezza e al lost and found si trovano a meno di cinque minuti a piedi e non è tecnicamente previsto che uno di loro vada a prenderlo. Chiamo ogni ora fino alle undici di sera: nessuno ha consegnato il mio giubbotto. Chiamo la mattina dopo dalle otto fino a dopo pranzo: nessuno ha consegnato il mio giubbotto. Quindi lo dò per perso. Blocco il bancomat eccetera. Uff.

Quattro giorni dopo sono con Aldo e con Lìberos in una scuola media di Valledoria. Incontro non semplice che porto a casa con discreto successo. Alla fine sono circondato da ragazzini che vogliono ancora dirmi una roba, chiedermi una roba, farmi vedere una roba, e d’un tratto, in quel marasma totale, alzo gli occhi e davanti a me c’è una donna che immagino nordafricana. In una mano ha il mio giubbotto. Nell’altra il mio portafoglio. Mi dice: “Ti ho cercato. Questi sono tuoi”.

Io non credo ai miei occhi. Non capisco. Cosa ci fanno il mio giubbotto e il mio portafoglio abbandonati a Fiumicino, a Valledoria, tra le mani di una donna nordafricana? Balbetto: “Grazie. Ma. Com’è che li hai tu? Chi sei?” Lei con un accento marcato ripete: “Ti ho cercato su Facebook. Te li ho portati”. Io prendo il giubbotto, prendo il portafoglio, lo apro. Lei dice: “C’è ancora tutto”. (E intanto attorno ragazzini che mi tirano la camicia, uno che mi chiede se esiste il libro di Stranger Things, un’altro che mi chiede se gli firmo il diario). Sono stordito. Mi sporgo e abbraccio la donna. Lei ricambia. Dico: “Ma grazie. Ma spiegami”. Lei parla di un volo da Fiumicino, stesso pomeriggio, stesso gate. Mi ha cercato su Facebook. (Intorno i ragazzini che ridono e parlano e chiedono).

Vorrei fare altre cinquanta domande, ma sono troppo confuso, così senza pensarci semplicemente apro il portafoglio, prendo gli ottanta euro che avevo e faccio per darglieli. Lei rifiuta, dice: “No, solo venti. Se posso chiederteli. Ché per portarteli sono venuta da lontano”. Insisto che li prenda tutti e ottanta. Lei ripete no, bastano venti. Io prendo i venti, ci nascondo dentro una banconota da dieci e glieli dò. Lei sorride. Ci abbracciamo di nuovo. Alle sue spalle, in quel momento, noto un uomo, nordafricano anche lui. La sta aspettando. Vociare dei ragazzini. La donna mi saluta e un secondo dopo non ci sono più.

Ora, carissimi addetti di Fiumicino, voi e le vostre procedure. Voi che eravate a cinque minuti a piedi dal mio giubbotto, ma no, non possiamo, non è previsto. Una donna giunta da lontano ha attraversato la Sardegna per venire a portarmi ciò che voi potevate prendere in consegna facendo una pausa caffè.

E tu, tu che mi hai cercato su Facebook. Tu, che non mi hai neppure detto come ti chiami. Se leggi questa storia, mi scrivi per favore? Vorrei ancora dirti grazie».

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