Fabbricare confetti in Molise
Raggiungo Claudio al telefono, sta andando a consegnare una macchina da cucire a 20 suore. Le religiose hanno dovuto lasciare il loro convento nel reatino dopo il terremoto che ha interessato l’Italia centrale, e ora sono ospitate nell’abazia di Castel San Vincenzo.
«Sono suore benedettine, sono abituate a lavorare, e una macchina da cucire per fare qualche riparazione, qualche lavoretto di sartoria, per loro può essere un piccolo sollievo».
Claudio Papa gestisce, insieme al fratello, l’azienda di famiglia nel Molise che produce confetti. Un’azienda creata dai genitori nel 1975. In quell’anno la coppia emigrata in Svizzera rientra nella regione d’origine, e mette a frutto la conoscenza acquisita nel campo del cioccolato acquistando una piccola confetteria. Da allora l’azienda è in costante crescita, ma qual è il modus operandi?
«I dirigenti si sono dati un tetto massimo di guadagno: il loro stipendio mensile non può superare 4 volte quello di un operaio, il resto degli utili vengono reinvestiti in azienda e sul territorio. Per esempio attraverso la messa a dimora di mandorli autoctoni, da cui è sorta un’azienda agroalimentare che crea altri posti di lavoro, e sottolinea la fertilità di un territorio destinato altrimenti a desertificarsi e spopolarsi».
Il problema di questo paradigma economico è che «tutti sono preoccupati di produrre e vendere sempre più, ma senza attenzione al territorio e soprattutto alle persone si va dritti verso il fallimento (…) penso ad alcuni governi che hanno interesse solo ad arricchirsi senza garantire i diritti elementari e fondamentali ai loro popoli come quello alla salute per fare un esempio».
Quali sono dunque i requisiti per riuscire? «Non essere politicizzati e mettere al primo posto la relazione umana, la totale coalizione con i dipendenti. Bisogna prendersi cura delle relazioni umane, riservare attenzione autentica alle persone con cui lavoriamo, prestare ascolto, essere gentili, avere rispetto e umiltà e condividere… è questo che ci arricchisce davvero».
All’interno dell’azienda ha sempre lavorato Michele, un mastro confettiere sordomuto che ha insegnato a Claudio le competenze fatte soprattutto di sensazioni e vibrazioni, acuite dal suo limite fisico tanto che «se non ci fosse stato Michele l’azienda non sarebbe stata quella che è».
Michele ha cominciato a lavorare da bambino, spaccava mandorle in una confetteria di Isernia. Nel ’75 comincia a lavorare con i genitori di Claudio e poi con lui, con cui rimarrà sino alla pensione.
Il lavoro di un mastro è fatto di sensi e di esperienza nel saperli usare: «tocca il prodotto per sentirne la consistenza, lo guarda, sente la temperatura atmosferica, aggiunge acqua o rallenta il ritmo delle macchine».
Claudio stava spesso accanto a lui, lo guardava lavorare e lo osservava. «Tra le altre cose, vedevo che Michele era solito, durante il processo di lavorazione, arrestare la “bassina” (macchina in rame per la lavorazione dei confetti), inginocchiarsi in terra per poter arrivare sotto di essa, e sostituire tutte le cinghie».
Un giorno Claudio chiede il motivo di tanta fatica, Michele gli spiega che questo serve a rallentare il ritmo della macchina, perché quando i confetti raggiungono quella consistenza si potrebbero scheggiare e tutto il lavoro andrebbe perso.
Claudio da ragazzo aveva lavorato in Piaggio dove aveva imparato molto sulla tecnologia e propone a Michele di modificare le macchine inserendo degli inverter, questo permetterà a Michele di fare molta meno fatica e all’azienda di velocizzare i tempi di produzione. Da lì la relazione tra Michele e Claudio si fortifica e la collaborazione diventa costante.
Michele ha trasferito a Claudio ogni sua conoscenza e a sua volta Claudio l’ha trasferita a Carmela, l’attuale mastro confettiere dell’azienda. «La figura di riferimento del mastro – sottolinea Claudio – è fortemente e autenticamente radicata nel territorio e custodisce il tesoro delle tradizioni della nostra terra», per questo l’azienda riserva percorsi di formazione e di alta specializzazione per i giovani, riportando in auge mestieri altrimenti destinati a scomparire. Questi corsi vengono svolti anche all’interno del carcere e alcuni dei lavoratori dell’azienda sono persone in regime di detenzione alternativa, ma anche ragazzi provenienti da comunità di recupero, dove sono in cura per lievi disturbi psichiatrici. E di ognuno Claudio dice la stessa cosa: «Se non ci fosse……l’azienda non sarebbe quella che è».