Ezra Pound: grande poeta e personaggio paradossale
Mezzo secolo fa moriva a Venezia Ezra Pound, 87enne, il 1° novembre 1972. È sepolto nell’area evangelica del Cimitero Monumentale di San Michele, vicino a Stravinskij, che riposa nel settore ortodosso. Gli è accanto Olga Rudge, violinista americana e sua amante storica. La moglie, Dorothy Shakespear, l’unica che ebbe e con cui pure era rimasto unito, morì l’anno dopo, a Londra.
Giustissimo che la tomba di Pound sia in Italia, visto che qui il grande poeta ha risieduto maggiormente, 20 anni a Rapallo, poi in Tirolo, a Roma, a Milano e in Toscana, vicino a Pisa, città che dà il titolo al suo capolavoro, Canti Pisani, e dove trascorse in durissima prigionia, dopo il 1945, diversi anni della sua vita.
Chi conosce e legge Ezra Pound non può non constatare che ce ne sono almeno due. C’è il Pound grandissimo poeta, innovatore profondo della poesia anglosassone, tra i fondatori del modernismo poetico, amico e sponsor di protagonisti come Thomas Stearns Eliot e James Joyce, che aiutò a esordire e imporsi.
È il Pound dell’imagismo e del vorticismo, scuole poetiche che contribuì a forgiare immettendo nella poesia speaking english tutto un mondo, anzi il mondo, dalle suggestioni occidentali e orientali, e un passato, una tradizione antica sempre rimpianta e riproposta.
E per antico in Pound si deve intendere non solo il patrimonio poetico e artistico greco-romano, ma anche il Medioevo di Guido Cavalcanti e di Dante, del Dolce Stil Novo e dell’epica sostanziata di teologia tomista.
In oltre una settantina fra raccolte poetiche, saggi, traduzioni d’autore e quant’altro, Pound esprime e sviluppa tutto questo vitale stracarico universo poetico, fatto di modernità e tradizione, libertà e scuola, esotismo e occidentalismo, attestandosi fra le voci epico-liriche più alte del XX secolo. Specie con la sua opera numero uno, i Cantos, che hanno fatto ammirare e reso immortale questo incredibile americano cosmopolita, patriota a stelle e strisce, come si è sempre confermato (ma anti-rooseveltiano!), e insieme europeo, in particolare italiano, in tanta parte della sua cultura.
E l’italianità ci dà il destro per parlare del “secondo” Pound. È paradossale. Il grande innovatore della poesia novecentesca fu un convinto ammiratore del fascismo e di Benito Mussolini. All’inizio degli anni ’20, dopo i periodi a Londra e Parigi, si traferì nei nostri confini e visse 20 anni a Rapallo, dal 1925 al 1945.
Non prese mai la cittadinanza italiana né si iscrisse formalmente al Partito Nazionale Fascista, ma fino alla fine della II Guerra Mondiale fu non solo un fan del regime littorio e del suo Duce, ma contribuì con il suo estro e la sua cultura a difendere e promuovere l’ideologia fascista, in particolare mussoliniana.
Vedeva nell’Italia del ventennio un paese rinnovato e ringiovanito rispetto all’età umbertina, e un paese più organizzato e giusto sul piano socio-economico. Tema a cui teneva moltissimo, visto che gran parte delle sue riflessioni e dei suoi scritti sono dedicati all’economia, da posizioni anticapitaliste e antimarxiste, in nome della “terza via” promossa dal fascismo.
Quando incontrò Mussolini, una sola vota, il 30 gennaio 1933, gli disse una delle sue frasi celebri: «Duce, ho la possibilità di non far pagare le tasse ai cittadini!».
Dopo il ’40 iniziò il periodo più intenso di attivismo e collaborazione con il regime, sulla carta stampata e più ancora come “voce” dell’EIAR, in un programma dove Pound richiamava gli Usa a una politica più giusta e pacifica, accusandoli di essere vittime, ma anche carnefici, dell’usura internazionale.
La condanna e la lotta all’usura fu un suo chiodo fisso, vi vedeva la radice del capitalismo e anche della guerra. L’autore dei Cantos respingeva le accuse di antisemitismo, anche se interpretava la guerra americana come il frutto della pressione della finanza ebrea su Roosevelt. Diceva di avversare i banchieri ebrei, ma non i lavoratori, i disoccupati e i profughi di quel popolo che stentavano a tirare avanti ed erano vicini ai poveri di tutto il mondo.
Dopo il ’43 Pound aderì alla Repubblica Sociale Italiana, spostandosi a Milano per il suo lavoro giornalistico e di propaganda. Coltivò una certa simpatia anche per il nazismo e Hitler, che giudicava però come l’”imitatore isterico” di Mussolini.
Nel ’45 fu arrestato dai partigiani e consegnato all’esercito statunitense. Per lunghi mesi fu sottoposto a una detenzione durissima, in una gabbia cubica di 1,8 metri di lato, dove però continuò incredibilmente a scrivere le ultime sezioni del capolavoro.
Tradotto negli Stati Uniti, fu processato per collaborazionismo e tradimento, rischiando l’ergastolo o la pena di morte. La (dubbia?) perizia psichiatrica lo qualificò come schizofrenico depresso paranoico, risparmiandogli una durissima condanna; fu internato per 12 anni nel manicomio criminale di St. Elizabeths di Washington.
Nel 1958 la liberazione, il trasferimento in Italia, la riabilitazione, la rinascita della fama e la frequente presenza di Pound al Festival Dei Due Mondi di Spoleto, chiamato dall’amico e ammiratore Giancarlo Menotti.
L’ultimo periodo è segnato dalla conclusione dei Cantos, giunti alla 117esima sezione, e dalle visite di Allen Ginsberg, il grande poeta americano ebreo, e di Pier Paolo Pasolini, la personalità poetica italiana più vicina a Pound. Per l’autore di Ragazzi di vita il Pound simpatizzante del fascismo nulla toglie alla forza e profondità del poeta e dell’innovatore.
Questo 50° della sua scomparsa ci invita a riaprire i Cantos, pietra miliare della poesia del ‘900. Alle lettrici, ai lettori e ai giovani suggeriamo il meglio di Pound nella bella edizione garzantiana dei Canti Pisani, 2015 (tradotti e curati da Alfredo Rizzardi, testo inglese a fronte), nati dal dolore (del poeta) e diretti al cuore (di tutti).
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