Expoday. Un giorno da ricordare

Primo maggio: apertura di Expo 2015 e festa del lavoro. Ci ricorderemo di questo evento per la forza di alcuni suoi simboli
expo 2015

Il lavoro degli operai di Expo che hanno perso notti e sonno fino all’apertura dei cancelli. Gli operai italiani che hanno sostituito i colleghi nepalesi rientrati anzitempo nel loro paese colpito dalla devastazione del terremoto. La compostezza fiera dell’inaugurazione del sito espositivo, l’arrivo delle delegazioni nazionali, dei politici, delle autorità religiose e civili. Una Babele di lingue e di popoli convenuti, che è divenuta messaggio di pace e di concordia, reso impeccabile da una regia che ha colmato tutte le mancanze e le sbavature che hanno accompagnato gli anni della preparazione e ha messo a tacere, come deve essere, ogni discordia.

Ci ricorderemo il sorriso di sollievo di Giuseppe Sala, commissario di Expo,che in questi sette anni ha navigato nella complessità e nell’ambiguità di un evento così difficile da gestire, “perdendo” lungo la strada molti dei suoi uomini e talvolta la speranza di farcela.

Ci ricorderemo le gioiose parole del sindaco Giuliano Pisapia, che ha invitato a Milano il mondo in una città che vuole essere ospitale e accogliente, il vigore del Premier Matteo Renzi, che incarna con il suo ottimismo la voglia di dimostrare che siamo capaci di vincere i nostri peggiori difetti: ignavia, corruzione, scarsa cultura civile.

Ci ricorderemo della piccola variante che il coro dei bambini e degli alpini hanno apportato all’inno di Mameli. Basta un verso per dire molto, basta un verso per richiamare nelle persone il senso di un’appartenenza, di una comunanza di destino con altri fratelli: “lItalia s’è desta, siam pronti alla vita”. Una bella – criticata – impertinenza cambiare l’inno nazionale. Bel segnale di un popolo vivo?

Ci ricorderemo le parole di verità e di concretezza di papa Francescoche senza retorica alcuna ci ha richiamati ai valori fondamentali di questa esposizione, il pane per tutti guadagnato con dignità, il volto di chi ha fame, il lavoro onesto. «Vorrei che oggi ogni persona che visiterà Expo percepisca la presenza di quei volti, una presenza nascosta ma che in realtà deve essere la vera protagonista dell'evento: i volti degli uomini e delle donne che hanno fame, che muoiono anche per un alimentazione carente e nociva». Ma ci vuole un cambio di mentalità, serve «smettere di abusare del giardino che Dio ci ha dato, perché tutti possano raccogliere i frutti di questo giardino».

Il papa ci ha detto da che parte sta, ci ha detto da che parte stare.

Dovremo fare i conti con la Milano violata da gruppi di ragazzi armati di odio e di stupidità,che portano rovina e paura per le strade e per le piazze e mettono in ombra chi avrebbe protestato con pace e mitezza, per raccontare a tutti quanto siano belle le vetrine delle grandi esposizioni, piene di luci e di meraviglie, che non ci devono fare dimenticare la fame e il dolore di chi resta fuori da ogni banchetto. Dovremo fare i conti con un Expo che ha mescolato passioni ed interessi, favorendo talvolta più le ragioni dei forti che dei deboli.

Ci ricorderemo e ci interrogheremo.

Abbiamo sei mesi per provare a vivere quanto oggi è stato magistralmente annunciato da Expo, per lasciarci scomodare dal valore di un pezzo di pane, di una manciata di riso, di un bicchiere di acqua, di un campo coltivato, di un lavoro onesto, del rispetto della terra e della natura.

Abbiamo sei mesi per diventare quello che oggi abbiamo dimostrato di potere essere, un luogo di convivio e di dignità. Per tornare a innamorarci del nostro volto bello e più umano.

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