Ex Ilva, salta accordo sulla cassa integrazione

La guerra incide sull’economia. Contrasto nell’Ilva di Taranto tra la direzione di Acciaierie Italia e rappresentanti dei lavoratori sul piano industriale e volumi di produzione legati al Decreto energia. Timore per gli esuberi prevedibili per migliaia di dipendenti in cassa integrazione fino a marzo 2023
Ex Ilva, operai Uilm Foto di repertorio Roberto Monaldo / LaPresse

Nel periodo in cui i negoziati non producono esiti positivi, anche quello tra sindacati e aziende saltano con effetti preoccupanti.

Dopo ore di trattative dei giorni precedenti tra Acciaierie Italia (ex Ilva) e sindacati insieme al Ministero del Lavoro per la proposta della cassa integrazione in previsione della riorganizzazione aziendale per 3.000 dipendenti, poi ridotti a circa 2.700 unità che avrebbero usufruito dell’ammortizzatore sociale, è mancato l’accordo, giudicato inadeguato dai sindacati.

Questi ultimi avrebbero proposto una riduzione della cassa in proporzione all’aumento della produzione di acciaio e all’andamento produttivo.

Altro punto contestato dai sindacati (Uilm e Usc), che hanno organizzato uno sciopero a fine marzo, riguarda la prospettiva del periodo di cassa integrazione.

Acciaierie Italia, infatti, ha deciso di prolungarla fino a marzo 2023 con possibilità di proroga per tre anni successiviL’ex Ilva, poi, ha rivisto il piano industriale venendo meno agli accordi iniziali portando da 6 a 8 milioni di tonnellate di acciaio riassorbendo, però lo stesso numero di dipendenti, anziché incrementare il personale.

Da parte sua Acciaierie Italia giustifica l’attuazione della riorganizzazione del piano industriale con l’invio di una lettera inviata ai lavoratori nei giorni precedenti, nonostante la disponibilità di un accordo intermedio su 12 mesi, dovuto proprio all’incertezza della produzione, ma i sindacati contestano anche tale modalità che ha privato un tavolo tra le parti.

In tal modo circa 3.000 persone, in futuro, rischiano il licenziamento, considerando che già 1700 sono le persone in cassa integrazione dal 2018. La mossa dell’azienda, secondo i sindacati andrebbe a creare migliaia di esuberi strutturali in concomitanza con l’inesistente messa in sicurezza degli impianti e mancata salvaguardia dell’ambiente circostante, anche se nel Decreto Energia è previsto il trasferimento di 150 milioni di euro per le bonifiche alla decarbonizzazione.

Inoltre nel contesto attuale in cui è in atto un aumento della produzione industriale (forse causato anche dai forti venti di guerra?) con il varo del Decreto Energia con cui il premier Draghi ha annunciato misure affinché il sistema produttivo dell’Ilva dia sostegno al fronte dell’importazione, dei costi energetici e del caro materie prime, prevedere la cassa integrazione appare paradossale.

Sul tavolo dei negoziato troppi punti in sospeso senza accordi e a restare in bilico sono sempre i cittadini e i lavoratori.

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