Evviva, siamo liberi!
L'osservatorio internazionale Freedom House, nel suo rapporto 2012, ha promosso l'Italia nella valutazione delle libertà civili e politiche. Un buon segno, ma qualche domanda rimane
La notizia è delle migliori: siamo liberi! Freedom House, l’osservatorio internazionale noto per aver relegato l’Italia al 71° posto al mondo per la libertà di stampa – dietro alle Barbados, per capirsi –, nel suo rapporto 2012, pubblicato il 19 gennaio, ci ha promossi. Evviva. Per carità, è un “6 scritto in rosso” (come diceva la mia professoressa, quando inseriva nel registro una sufficienza non proprio piena e che doveva essere confermata): se in quanto a diritti civili e politici e libertà del web abbiamo meritato il massimo dei voti, in quanto a libertà di stampa in sé per sé rimaniamo ancora un gradino più sotto. Però nell’indice aggregato degli indicatori siamo comunque passati da 2 a 1, il che ci consente di entrare nei ranghi dei migliori della classe.
L’indice secondo cui Freedom House valuta i Paesi, infatti, assegna un punteggio da 1 (il migliore) a 7 (il peggiore) a tutti i Paesi del mondo sulla base di una serie di parametri come libertà di parola, libertà di stampa, libere elezioni, rispetto dei diritti delle minoranze ed altri ancora. Su questa base, chi ottiene un punteggio da 1 a 2,5 viene classificato come “libero”, ossia un Paese in cui «c’è aperta competizione politica, un clima di rispetto per libertà civili, una vita della società civile indipendente e significativa e mezzi di informazione indipendenti». A dire il vero pecchiamo su quest’ultimo punto – almeno per ora –, non è ancora infatti stato pubblicato il rapporto 2012 sulla libertà di stampa, per cui rimaniamo inchiodati al “parzialmente liberi” dello scorso anno; tuttavia, afferma Freedom House, «la valutazione dell’Italia è migliorata da 2 a 1 grazie alla riduzione nella concentrazione dello Stato e dei privati nel mondo dei media, in seguito alle dimissioni di Silvio Berlusconi da primo ministro lo scorso novembre».
L’indice secondo cui Freedom House valuta i Paesi, infatti, assegna un punteggio da 1 (il migliore) a 7 (il peggiore) a tutti i Paesi del mondo sulla base di una serie di parametri come libertà di parola, libertà di stampa, libere elezioni, rispetto dei diritti delle minoranze ed altri ancora. Su questa base, chi ottiene un punteggio da 1 a 2,5 viene classificato come “libero”, ossia un Paese in cui «c’è aperta competizione politica, un clima di rispetto per libertà civili, una vita della società civile indipendente e significativa e mezzi di informazione indipendenti». A dire il vero pecchiamo su quest’ultimo punto – almeno per ora –, non è ancora infatti stato pubblicato il rapporto 2012 sulla libertà di stampa, per cui rimaniamo inchiodati al “parzialmente liberi” dello scorso anno; tuttavia, afferma Freedom House, «la valutazione dell’Italia è migliorata da 2 a 1 grazie alla riduzione nella concentrazione dello Stato e dei privati nel mondo dei media, in seguito alle dimissioni di Silvio Berlusconi da primo ministro lo scorso novembre».
Musica per le orecchie degli oppositori dell’ex premier, ma certo non una novità per nessuno. Credere o no a queste classifiche? Mah, ci credevamo quando eravamo dietro alle isole Vattelapesca, perché non dovremmo crederci adesso? Sarà. Più legittima può invece essere la domanda: bastano le dimissioni di un uomo solo per cambiare lo status di un Paese e metterci la coscienza a posto, oppure c’è ancora del lavoro da fare?