Evviva Franck!
Ne ha scritto una sola di sinfonia, quella in Re minore, César Franck. Un insuccesso grandioso alla “prima”: Gounod e Thomas i primi a far fuoco sul grande organista e didatta, ma per loro inadatto alla sinfonica. Certo, il giudizio dato da due operisti va preso con le pinze, anche perché in Francia, come in Italia, all’epoca di musica sinfonica se ne componeva ben poca.
Ma Franck non era tipo da demordere e comunque oggi la sua sinfonia è fra le più celebrate ed eseguite del repertorio tardo-romantico. Così a Roma, all’Auditorio Conciliazione, Francesco La Vecchia e la sua balda orchestra l’hanno proposta con insolito calore, ed è stato bello.
Il primo tempo è lunghissimo, si parte con un tema di tre note e lo si sviluppa all’inverosimile, ricordando Wagner e Brahms, certo, ma aprendo a suggestioni di “serena ansietà” che si ritroveranno in Mahler. Il gigantismo orchestrale di queste musiche ha del ciclopico: punta a un discorso universale per mezzo degli incastri armonici, degli sviluppi tematici e tende a una certa retorica, fatalmente. Così c’è bisogno di un passaggio lirico, ed ecco il suono liquido del corno inglese sui pizzicati degli archi e dell’arpa espandere, nel secondo movimento, una melodia sinuosa, serpentinata, bella come un’alba, per chiudere infine con un movimentato terzo tempo che trascorre tra finezze sussurrate degli archi, citazioni dei temi precedenti e una chiusa grandiosa.
L’orchestra ha retto bene (forse la fila dei violoncelli ha bisogno di maggiore unità…) la partitura difficile, anche perché il direttore non si è risparmiato. Avevano esordito con la Settima di Beethoven, successo assicurato, e hanno chiuso con Franck. Un buon lavoro.