Evoluzione di una sposa-bambina
Quando, terminato di leggere un romanzo, si rimane per diverso tempo “abitati” dai suoi personaggi e coinvolti nelle sue atmosfere; quando dopo il “sasso” gettato dall’autore continuano le vibrazioni dell’anima come l’allargarsi di centri concentrici sulla superficie nello stagno, è segno che quel libro ha fatto centro, è vero ed è vivo. Tale è l’impressione provata dopo aver letto nella recente edizione RBA (collana “Storie senza tempo”) Effi Briest, il capolavoro di Theodor Fontane (1819-1898) che, insieme ad Anna Karenina di Tolstoj e a Madame Bovary di Flaubert forma una trilogia sul matrimonio nel XIX secolo: tre romanzi incentrati sull’adulterio i cui autori hanno cercato di interpretare il punto di vista femminile.
Questa, in sintesi, la trama di Effi Briest, pubblicato inizialmente a puntate tra il 1894 e il 1895 sulla rivista letteraria berlinese Deutsche Rundschau. Il barone Geert von Innstetten si lega in matrimonio con la diciassettenne Effi. di circa vent’anni più giovane di lui, strappandola all’universo in cui è stata felice: la cittadina natale di Hohen-Cremmen, i genitori e le amiche con le quali giocava fino a poco prima.
Sposa-bambina, Effi si trasferisce dunque a Kessin, un paese fuori mano, in una dimora dove lei si sente estranea ed è terrorizzata dall’immaginario fantasma di un cinese (servo del vecchio proprietario), frutto del disagio in cui vive costantemente. Inoltre il marito, in quanto prefetto che gode della stima del principe, è quasi sempre lontano da casa per lavoro: la carriera prima di tutto! Persona retta e onesta, tuttavia, Geert ama Effi, affascinato dalla sua grazia e dalla sua ingenuità, ma più che marito si dimostra un “pedagogo” nei suoi confronti.
L’isolamento di Effi è aggravato dal fatto che le famiglie borghesi del vicinato la trattano con sufficienza a causa della giovane età e dell’educazione, ritenuta inadeguata rispetto alla loro. Uniche sue compagnie l’amato cane Rollo e i domestici, unico vero amico in grado di far sorridere la giovane donna il farmacista Gieshubler, un personaggio fuori dagli schemi della Prussia novecentesca, aperto alla vita e insofferente alle regole di un mondo sorpassato (in lui si può forse riconoscere l’autore).
Non ancora diciottenne, Effi dà alla luce la piccola Annie e assume una balia, Roswitha, cui si affezionerà molto. Ma a turbare il tranquillo ménage è l’arrivo in paese dell’avvenente e superficiale maggiore Crampas, col quale la giovane baronessa continua a frequentarsi anche quando Geert dovrà assentarsi per lavoro. Seppur sotto l’occhio della servitù, il legame clandestino tra i due continua a svilupparsi fino ad arrivare ad un fugace bacio nell’inverno successivo. Niente di più, ma un crescendo di sensi di colpa tormenta Effi, che accoglie con sollievo il trasferimento a Berlino presso il marito, al quale tenterà con ogni sforzo di avvicinarsi.
Messo alle spalle il periodo di Kessin (la casa col fantasma, il clima freddo, l’ambiente e la gente ostile), nella grande città Effi sembra finalmente felice, anche se mai del tutto rasserenata a causa della colpa commessa. Passano sette anni. Effi contrae una malattia ai polmoni e, su consiglio medico, va a curarsi in un paese distante, dove il clima dovrebbe giovarle. Viene accompagnata da una vedova, con la quale fa amicizia durante il lungo soggiorno. Ma il passato non perdona: mentre la moglie è altrove, per una serie di circostanze fortuite Geert trova casualmente le vecchie lettere del maggiore indirizzate a lei.
Nonostante il tempo trascorso, spinto non tanto dal desiderio di vendetta quanto dalle convenzioni sociali, il barone sfida l’ex amico a duello sulla spiaggia di Kessin e lo uccide. Quanto ad Effi, viene ripudiata da tutti: marito, parenti, amici, società. Lasciato il tetto coniugale senza ottenere l’affidamento della figlia (la rivedrà anni dopo, solo per qualche minuto), la giovane si sistema con la domestica Roswitha, l’unica rimastale fedele, in un appartamento berlinese dove conduce una vita nelle ristrettezze, ma tutto sommata serena. Solo quando è gravemente malata di nervi e con i polmoni ormai compromessi riesce ad ottenere dai genitori il permesso di ritornare nel paesello della sua giovinezza. Lì, finché lo stato di salute glielo permette, fa lunghe passeggiate nei campi insieme al vecchio cane Rollo. Fontane ci accompagna nell’evoluzione della sua eroina – una ragazza semplice, onesta nel riconoscere i suoi limiti, che non è mai stata veramente moglie e madre –fino alla sua maturazione di donna allorché si congeda dalla vita, pacificata con tutto e con tutti.
Il romanzo si chiude con Rollo, l’unico che sembra averla capita, che vigila la sua lapide nel giardino di casa, mentre i genitori si chiedono se la figlia non fosse stata troppo giovane per sposare il barone Innstetten.
In Effi Briest, ispirato da una storia vera, Fontane ha messo in berlina una certa borghesia prussiana troppo legata al passato, eccessivamente interessata alla carriera e alle conoscenze che contano, e pertanto incapace di comprendere una sognatrice incline alle piccole gioie e ancora con tanta voglia di giocare.
Incombente, poi, è il senso del dovere: per obbedire ai genitori, Effi sposa un uomo molto più anziano di lei; a motivo del lavoro e delle convenzioni sociali, il marito lascia spesso sola la moglie e poi s’imbarca nell’avventura di un duello non sentito; ancora il dovere s’impone nella consuetudine delle visite alle famiglie borghesi e infine nel comportamento della madre di Effi, che inizialmente rifiuta la figlia per aver trasgredito le norme morali.
Con delicatezza, signorilità ed equilibrio Fontane costruisce questa vicenda fondamentalmente tragica, ma che comprende anche momenti sereni e quasi idilliaci, dialoghi brillanti, sfumature di bonaria ironia. Era infatti, lo scrittore, di carattere socievole: un ottimista che aveva fiducia nella vita e sapeva apprezzare le semplici gioie quotidiane. Consapevole del valore letterario delle sue opere, ma modesto nel considerarle, fine indagatore della psicologia umana, anche in figure secondarie egli delinea personaggi autentici, che non si dimenticano. Di qui il coinvolgimento emotivo suscitato in me dalla lettura di Effi Briest e il senso di malinconica pace col quale ho chiuso il libro.