Everest. Oltre ogni limite

A raffica fioccano le uscite questa settimana. Ma più interesse di tutte riscuoterà il film di Baltasar Kormákur sulla disastrosa avventura ad alta quota di due diverse spedizioni volte a raggiungere la vetta più alta del mondo
Un momento del film "Everest"

Everest

 

Il filmone spettacolare con un cast superlativo – fra tutti Jake Gyllenhaal e Keira Knightley – sulla fallita impresa della conquista dell’Everest nel 1996 è bellissimo da vedere: fotografia lucente, riprese mozzafiato, il 3D che ti fa entrare dentro la storia e vivere la gioia e la follia dei personaggi, l’avventura in definitiva dell’uomo che vuole vincere la natura. Tutto bene. Ma lo scavo psicologico non brilla, la narrazione fa un po’ acqua e tutto si risolve in un blockbuster divertente, rilassante, con qualche brivido per chi soffre di vertigini, quando sembra di esser davvero lassù, sulla cima del gigante. Ed è forse il momento più emozionante del film diretto da Baltasar Kormàkur.

 

La prima luce

 

Bello il film diretto senza arroganza da Vincenzo Marra. La piccola storia di lei, ragazza cilena giunta a Bari, madre del piccolo Matteo e compagna del giovane rampante avvocato Marco. Ma lei, Martina, non è felice: vuole tornare a casa, il rapporto con l’uomo è in crisi, non si capiscono. Così scappa e torna in Cile. E allora lui finalmente scopre il rischio della paternità e vola a ricercare madre e figlio. Soffre, si dispera, si infuria e matura. Piccolo film di sentimenti delicati, sofferti, anche aspri, ma mai fuori luogo, con uno Scamarcio che forse per la prima volta recita come Dio comanda e lei, dolce Daniela Ramirez. Non un film perfetto (nella storia qualcosa resta sospeso: lei come è giunta a Bari?), ma le piccole cose possono a volte dire discorsi profondi. Nel caso, quello sulla paternità e il suo valore. Da vedere.

 

Magic Mike XXL

 

Sequel del precedente con gli spogliarellisti bellimbusti che si ritrovano, manca della verve del primo e si risolve in balletti pruriginosi, clichè narrativi e attori – Channing Tatum per primo – inespressivi in un racconto quanto mai banale. Regia di Gregory Jacobs da dimenticare.

 

 Ritorno alla vita

 

Ritorna alla fiction Wim Wenders con una storia di rimorso e perdono. Tomas (James Franco) è uno scrittore americano in crisi creativa, vive una relazione senza slanci con Sara; uccide incidentalmente in auto un bambino ed è perseguitato dai rimorsi, tenta il suicidio. Incontra la madre del piccolo (Charlotte Gainsbourg) e il fratellino. Dodici anni son passati e Tomas è uno scrittore assai famoso. Ma il passato resta. C’è da recuperare affetto, chiedere perdono, perdonarsi. Wenders non concede nulla al sentimentalismo, anzi la luce fredda – è quasi sempre inverno o autunno –, la natura ovattata e grigia rendono grigi anche i pensieri, scavano dolori inespressi. Wenders pare esplorare con delicatezza la strada del rimorso, del perdono, aiutato da attori che non si concedono che il minimo all’emozione.

Sfila durante il film l’atmosfera algida del dolore dell’anima, tanto più profondo quanto più celato sino all’insopprimibile volontà di uscire alla luce. Forse troppo perfetto per avvincere, il film pure trova momenti commossi, disseminati a chi sa vedere qua e là come tracce di una vita da recuperare. Da non perdere.

 

Sicario

 

L’inizio, lunghissimo, muto, è grande. Poi l’epopea sanguinaria di quella zona di confine tra Usa e Messico – luogo di contrabbandi di ogni genere e di crudeltà – si fa strada. È la lotta al narcotraffico e alla clandestinità. L’agente FBI Kate Macer (Emily Blunt) è una donna sicura, energica,ma rispettosa delle regole. Inviata a far parte di un’azione che coinvolge anche la Cia per catturare un misterioso boss della droga, si accorge che nel suo gruppo ci sono comportamenti ambigui, sia dell’agente Graven (Josh Brolin) che soprattutto del messicano Alejandro (Benicio Del Toro). La donna  viaggia alla scoperta di un mondo di orrore e di sangue… Fughe, spari, uccisioni dentro una natura ostile, implacabilmente dura.

Dennis Villeneuve dirige con scaltrezza un thriller poliziesco, attento alla psicologia dei personaggi, in un crescendo di indagine morale che, pur fingendo di non farlo, svela infine quanto sia breve il confine tra bene e male e come la giustizia-ingiustizia possieda sia gli agenti che i trafficanti. Impietoso, drammatico, ruvido, cinico, ma assai interessante. Da non perdere.

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