Eventi Romani
Corelli, un mago. Ha visto bene l’Accademia filarmonica romana programmando un omaggio ad Arcangelo Corelli, romagnolo ma di fatto animatore straordinario della vita musicale romana di fine Seicento. Non troppo prolifico, ma molto selettivo, Corelli ha lasciato postuma la raccolta di dodici Concerti grossi op. VI, del 1714. Flavio Biondi, ispirato leader dei 13 dell’Europa Galante – complesso ormai prestigioso per raffinatezza esecutiva e approccio culturale – ne ha scelti cinque (nn. 1,4,7,11,12) insieme alla Sinfonia dall’oratorio Santa Beatrice d’Este. L’impressione di queste musiche è stata enorme: una vivacità ritmica piena di estro, Adagi pacificanti, equilibrio giusto fra pieni e vuoti, tempi lenti e tempi veloci, soli e tutti. Un’architettura geometricamente lineare, sorretta da una ispirazione che non manifesta alcun cedimento, perché depurata da ogni eccesso. Musica che pare scritta oggi e si potrebbe benissimo, come faceva Corelli, raddoppiarne l’organico, facendo tuttavia attenzione a non rovinare alcuni inserti preziosi, come quelli della tiorba, così sognanti o alcune “invenzioni” come certi pizzicati degli archi che fanno sussultare per quanto sono belli. Si comprende come da una simile civiltà musicale tutta Europa (Bach ed Haendel compresi) avesse molto da imparare e come sia ora che autori così grandi – eseguiti con amore da musicisti tanto dotati – meritino più di un concerto e più di una sera. Perché questa è musica dove intelletto e fantasia si danno la mano, così che chi ascolta venga totalmente conquistato dalla loro armonia. Come è accaduto al folto pubblico. Maxim Vengerov. Star del concertismo mondiale – con tutti i vantaggi e gli svantaggi del ruolo – Vengerov, siberiano di 28 anni, all’Auditorio Pio per il Concerto del Fai, insieme all’ “indiavolato” pianista turco Fazil Say si è cimentato con Brahms (Scherzo in do min.-magg.), (Sonate nn. 2 e 3) e Ravel (Tzigane). Il suono del suo Stradivari – già del grande Kreutzer – è caldo fino al parossismo, e Vengerov tiranneggia quasi la partitura con l’impeto della “cavata”, per cui la poesia brahmsiana – ondeggiante fra tumulto e malinconia – risulta amplificata, potente e, in qualche momento, virtuosisticamente eccessiva. Vengerov è un tutto-fuoco, capace però di abbandoni che rendono il suo violino lirico e sonoro come un’orchestra d’archi: con un effetto ipnotizzante sul pubblico. Che non può non restarne giustamente preso. Brahms sarebbe soddisfatto di Vengerov? Forse sì. Però, forse, gli consiglierebbe – strano a dirsi – meno “musica” e più “vita”. Per maturare. CONCERTO PER MADRE TERESA. Sull’onda della beatificazione, l’Aula Paolo VI in Vaticano ha visto la “prima” mondiale dell’oratorio Vita Nova per soli coro e orchestra, ispirato alla celebre suora, composto da Antonio Pappalardo ed eseguito da un direttore attento come Gianluigi Gelmetti, alla guida dei complessi del Teatro dell’Opera e di un cast fa cui spiccavano Daniela Barcellona, Vittorio Grigolo, Ildar Adbrazakov. Nata da un atto d’amore alla beata da parte dell’autore, l’opera, ben radicata nella tonalità, si destreggia abilmente fra stili diversificati grazie ad una solida struttura interna; ma la sua voce originale è il canto, di chiara matrice mediterranea, spiegato e melodioso. Che è la sua tipicità e anche – non me ne voglia l’Autore – un certo limite, perché rischia la sazietà. Comunque, grande successo – e meritato – da parte degli ottomila (quasi) in sala.