Eventi musicali a Roma
Era dal 1901 con Le Maschere di Mascagni che l’Opera romana non apriva la nuova stagione con una novità assoluta. Giorgio Battistelli, noto autore di ben tredici opere liriche, ha ricevuto la commissione dallo stesso teatro ed è nato Julius Caesar, Tragedia in musica di due atti, tratta dal lavoro di Shakespeare, su libretto di Ian Burton, rigorosamente in inglese. Inglesi sono pure i tredici solisti di canto – ottimi attori -, voci “britteniane”, un cast quasi tutto al maschile in un lavoro cupo, tragico, dove la musica si giova di una orchestrazione che predilige gli ottoni e le percussioni allargate in scansioni ritmiche anche feroci e pause liriche rare e fosforescenti.
Una musica originale, che conosce il Don Carlos verdiano, Richard Strauss, Stockhausen e Berio ma compone personalissimi colori e suoni flessuosi e pure stordenti, vuoti e silenzi, cori esagitati e drammatici che l’spirazione eterogenea del compositore offre con una efficacia impulsiva.
È Bruto più che Cesare il vero protagonista, eroe disarmato e sconfitto che paga con la vita e la sconfitta più che la morte dell’amico Cesare il suo amore per Roma e la libertà.
Non c’è pace nei due atti di una tragedia musicata in cui il sonoro crea atmosfere corali e declamati stringenti, talora aguzzi e lamentosi, tra il cangiante umore popolare, lo spettro di Cesare ombra punitiva e il trionfo del dittatore Ottaviano. Lacerazioni costanti esprime la colonna sonora di questa azione teatrale che si adatterebbe anche ad un filmato drammatico.
Le scene di Radu Borizescu creano un ambiente vasto semovente, da aula senatoriale attuale a luogo della disfatta con numerosi figuranti, e le luci velate hanno qualcosa di sinistro, abilmente sfruttate dalla regia dinamica e precisa di Robert Carsen: lo spettacolo ha il suo fascino nero. Daniele Gatti dirige immerso al solito nella partitura, attento,sobrio in un tipo d’opera del tutto speciale. Capolavoro? Lo dirà il tempo. Ma certo esprime una visione pessimistica dell’oggi attraverso la storia antica,si direbbe di inevitabile non-speranza come dice la musica sussurrata spesso dagli archi gravi come un dolore dell’anima.
Altro clima in Juditha Triumphans – rigorosamente in latino – sulla barbarie di Oloferne composta nel 1716 da Vivaldi, unico oratorio rimasto a noi.
Una musica dove la fantasia, l’estro del musicista veneziano si esprime alla grande come luce nelle diverse gradazioni e registri sentimentali: festoso, lamentoso, furioso,epico. I recitativi “secchi”col cembalo e il basso continuo sono di regola come le vistose virtuosistiche arie col”da capo” e i cori decisi. È una musica ispirata dall’inizio alla fine, ricca di immagini e di fantasie strumentali.
L’Oratorio manca di una sinfonia introduttiva e apre subito con lo squillo degli ottoni a presentare il superbo Oloferne e la sua aria di pieno barocco sonoro (“Nil arma, nil bella”).
Giuditta si presenta con l’aria “Quanto magis generosa”, bellissima, introdotta,sostenuta e commentata dalla viola solista. Ma Vivaldi regala altre preziosità. Ancora l’eroina biblica canta l’aria” Veni, veni, me sequere fide”, introdotta dal salmoè,cioè lo chalumeau francese, un prototipo del clarinetto, dolce, che imita il verso della tortora gemente con lievissime acciaccature. Alle pagine liriche segue all’inizio della seconda parte l’aria del sacerdote Ozia “ O sidera o stellae” che forse servirà di ispirazione remota alla figura di Sarastro nel Flauto mozartiano.
Leggerezza e magia si incontrano ancora nell’aria di Giuditta “Transit aetas” col mandolino accompagnato dal pizzicato dei violini (se ne ricorderà Mozart nel Don Giovanni?), di impagabile raffinatezza come i due flauti diritti che accompagnano l’aria “Umbrae carae”, di ispirazione pastorale.
Tutta la partitura è uno splendore fino al coro esultante finale (bissato, giustamente) che celebra la vittoria di Giuditta e quella contemporanea dei veneziani sui turchi.
Esecuzione di rara bellezza da parte dell’Accademia Barocca ceciliana, delle voci soliste femminili,e della direzione ispirata, precisissima di quel personaggio di variegata cultura che è Federico Maria Sardelli, che unisce gusto del cesello a cura di un armonioso insieme.